martedì 20 novembre 2012

RICHIAMI

7.50 fermata Caiazzo. Cerco una partenza mentre la gente si prepara a Centrale. Nei pochi secondi prima del cambio il treno é quasi vuoto.
Una signora allacciata fino al collo in un cappotto cammello che le copre i piedi passa lungo il vagone. Dal Metro della mia vicina Obama bacia e abbraccia un'imbarazzata Aung San Suu Kyi - ho dovuto lottare con la manica del cappotto della vicina suddetta per copiare la versione giusta del nome.

Colonialismo occulto - suonano telefoni come se i modi d'uso fossero misteri per adepti - gli asiatici non amano invasioni fisiche, ma un occidentale nemmeno ci pensa e stringe mani, bacia e abbraccia come un Unno in cerca di pascoli.
Sulla mia sinistra un rumore elettronico di monetine sta per farmi alzare e brutalizzare l'imbecille che lo provoca. Modo d'uso riunione, o discreto o vibrazione, o non rompere le palle al prossimo.

Niente, insiste.
I suoi immediati vicini sono conniventi e complici, o sono sordi o lui é grosso e pericoloso.
Non sono certo del sesso, ma del fatto che non lavori in centro sì, visto che non scende nemmeno a Porta Genova.

Se scende ad Assago potrei decidere di parlargli/le. Ha ancora solo Famagosta per evitarselo.
Il concetto di confine tra libertà é sparito, forse in qualche maxi emendamento. Si é portato appresso il concetto di uguaglianza. Ha aperto la strada alla violenza quotidiana verso lo sconosciuto in cui ci si imbatte, come se non fosse una persona.
Interrompo la filippica, c'é il sole.

mercoledì 24 ottobre 2012

RICORDI

7.58 gli strati leciti da togliere sono finiti. Sono in polo. Golf, sciarpa e giacca sono comodi sulla coscia. E dire che c'é gente vestita di tutto; nella calca di una delle carrozze più piene in cui sia salito, un bambino aveva anche il suo bel cappuccio della felpa in testa.
8.03 Garibaldi. Oggi la penna, che penna non é, non gira. Per niente. Ho fatto fatica a scrivere fin qui, tentato diverse volte di annullare proprio il post.
Allora tanti saluti, mi unisco
ai lettori, che é meglio.

lunedì 22 ottobre 2012

RISACCA

19.37 l'ora degli avanzi. Quelli che han fatto tardi in ufficio, che prenderanno treni a Cadorna, tra poco, e viaggeranno al buio verso casa, verso parcheggi bui, ed entreranno, si spera per loro, in case tiepide e profumate di cibo.
In case vuote e oscure dove dovranno preparare tutto, i meno fortunati. Pensando a quanto vicina sarà l'ora del treno di domattina, quando avranno finito di cenare e lavare i piatti.
É l'ora degli ultimi lavoratori e dei primi notturni, di individui dai sorrisi obliqui, vestiti in quel modo trasandato che accende domande e dubbi.
É l'ora in cui si guarda per terra, se non per trovare l'origine di qualche voce troppo alta.
L'ora per andare a casa e non pensare più, togliersi di dosso vestiti e giornata, pensando a quanto é lontana la prossima mattina in cui dormire.
Scrivere é un atto di puro coraggio, fa più rumore della voce narrante delle fermate, della radio del matto che ascolta canzoni d'amore, delle sudamericane che si urlano le rispettive giornate.
Next stop, casa.

NEW DEAL

7.55 loreto. Temperatura del treno alta, dopo la giacca sto valutando di togliere il golf. Voci attutite, non sono ancora le otto, le fermate passano veloci.
Sono ancora ben lontano dai miei viaggi antelucani, ma aver messo un sette davanti nell'orario é un risultato.
Aver preso in mano il cellulare per scrivere é un risultato. Gioia, andiamo davvero rapidi.
Sbircio sul free press di una brunetta seduta qui di fianco. Avvocato M.D. Non scrive specialista in, elenca. Sfratti, recupero crediti, separazioni e divorzi, licenziamenti.
Vivere del male altrui. Cavalcare la crisi - sfratti, crediti insoluti e licenziamenti, alfieri di degna regina. Va fatto, sia chiaro. Bisogna dare risposta ad ogni bisogno. Mica vogliamo tornare a postulare utopie. Ogni giorno che passa, ogni bisogno nuovo che nasce, naturale o in provetta, allontana dalla semplicità infantile dell'utopia.
Singolare che proprio stamattina, camminando lungo i marcapiedi quasi deserti, scendendo le scale di Piola, risalendo la corrente di studenti sbarcati di fresco, mi abbia fatto compagnia un'immagine, scaturita da una domanda sciocca, scandalosa.
Ho quasi vergogna a scriverla, perché scritta sarà anche peggio.
E se facessi il contadino?
Fa ridere, di me. Lo so. Solita nostalgia ed illusione a basso costo.
Nella nebbia dei campi oltre Famagosta, però, mi salva l'immagine di mio zio, Danilo Squizzato. Lve sue mani grandi, giganti, la sua voce forte ed allegra, il suo commuoversi quando ti saluta mentre torni in città.
Lui esiste, abita nella casa dei miei nonni, in via Prai. Campi, o meglio prati, in dialetto veneto.

mercoledì 17 ottobre 2012

BREVE

8.52 treno pieno di studenti delle superiori, non ne vedevo da prima dell'estate.
Appunto di viaggio preso da via Ampere, che non é metropolitana ma é già viaggio, e comunque ha popolato tante altre volte le mie pagine - pagine, sì, voglio esagerare.
Da dietro, avvicinandomi, niente più che una scena da mattina in via Ampere. Appunto nell'appunto, i liceali fanno rumore, l'avevo dimenticato abbastanza da trovarli fastidiosi. Questi poi devono essere in gita.
Mamma con passeggino, passo rilassato, abiti eleganti, sui toni del marrone La sorpasso sulla sinistra, intravedo una bimba intenta in qualcosa che ha tra le mani. Un altro passo e sono quasi oltre il passeggino. Mi volto per guardare la bimba.
Lei, pennino in mano, sta giocando con una PSP.
I miei figli diranno la loro prima parola via email.

martedì 16 ottobre 2012

STAGIONE

7.59 con la meteosfera che ha azzardato un 10,8 gradi poco prima che uscissi si é ufficialmente aperta la stagione autunnale.
L'unica preoccupazione per ora sono le melanzane, che in un impeto di amore nei miei confronti hanno azzardato un'ultima tornata di raccolto. E i peperoni.
Preoccupazioni contadine sul treno per Assago Forum. I miei compagni di viaggio non hanno l'aria di avere un orto. Forse qualcuno dei pendolari di Garibaldi, ma sono troppo nervosetti per frequentare la terra. Magari qualcuno ha degli ingombranti lasciti di zii e nonni.
Eleonora é felice quando parla dei lavori nell'orto. Fosse anche solo l'aver vangato. Con la vita da pendolare, il lavoro d'ufficio, la casa, il papà e tutto il resto, ha un tono fiero e soddisfatto quando parla della terra.
La soddisfazione. Sembra non abitare qui, nelle arterie della città. La soddisfazione che raddrizza la schiena, fa alzare la fronte e increspa la bocca in un sorriso che gonfia ed arrossa le guance.
Come si può vivere senza?
La soddisfazione semplice ed antica del contadino é il sale che manca a questa gente senza terra che coltiva numeri e carta.

lunedì 15 ottobre 2012

CHI NON MUORE

8.27 in piedi, a Centrale. L'ombrello é appoggiato al corrimano - l'apposito sostegno a cui reggersi durante la corsa del treno mi crea sempre problemi quando devo nominarlo - il borsone della palestra in mezzo alle gambe e giacca e piumino sono comodamente appoggiati sul braccio sinistro.
Insomma, non sono esattamente comodo. Scrivo con una mano sola, ad esempio. Ad esempio, ci ho messo la tratta centrale lanza a scrivere le due cose qui sopra.
Evidentemente la buona volontà é stata ripagata, e a Cadorna ho rimediato un bel posticino comodo. Scrittura a due mani, top notch.
A quest'ora avrei potuto già essere in ufficio, ho deliberatamente ritardato l'uscita da casa di almeno mezz'ora. É il 15 ottobre, ma sono ancora ben lontano dal tornare a regime. Al regime pre estivo almeno. Anche questa é una routine, dopotutto.
Si svolge solamente un'ora, ora e mezza più tardi. A guardarla da qui, la sveglia alle sei meno un quarto per essere in ufficio prima delle otto sembra solo un'esagerazione inutile. I vantaggi per cui la sceglievo hanno perso mordente. Ci penso ancora, ha aspetti romantici, che quasi mi richiamano di più di quelli pratici.
Ci penserò, una routine mi ci vuole, come a qualunque giocatore di golf. Intanto sto arrivando ad assago, anche a due mani non sono rapidissimo..

giovedì 4 ottobre 2012

STRAPPO OVVERO INCOMPIUTO

7.52 oggi proverò a concedermi uno strappo alla regola. Ho bisogno di una tastiera vera e di un luogo calmo, o almeno più calmo della metropolitana, per provare a dare voce ad un'istanza, sic, che negli anni torna ogni tanto a tirarmi la giacchetta, ma che nell'ultimo mese sta rasentando la persecuzione.
Scrivere non in viaggio viola qualche regola del blog, ma sono certo che le autorità non mi censureranno.
A più tardi, quindi.

venerdì 28 settembre 2012

SOTTOFONDO

8.20 Caiazzo sfila dai finestrini. Finalmente venerdì.
Per quanto faccia, e non faccio gran che, continuo ad avere un velo davanti agli occhi. Soprattutto la mattina. Un filtro con cui coloro tutte le persone.
Dal papà con figli e passeggino che imita sommesso il verso della rana, alla quarantenne stivalata che smanaccia l'ipad di fronte a me, alla sconosciuta che ho seduta a fianco, di cui so solo le scarpe da ginnastica bianche.
Vedo tutti incastrati in una vita imperfetta. Seduti in un posto assegnato senza chiedere il loro parere. Vedo vite che vorrebbero essere non diverse, ma altre da quello che sono. Orari, lavori, quartieri e case. Tutto imposto da fuori, al meglio scelto con un'alzata di spalle.
Beh, un buon impiego, dopotutto. Pagato abbastanza.
Beh una casa non male. Certo, il giardino... Ma con questi prezzi.
Beh, un quartiere decoroso, una città piena di cose da fare. Una città sicura, comunque.
Certo, vedere il cielo é un'altra cosa. L'alba e il tramonto, belli, ma con la poesia mica si vive. Certo, non metto in discussione il potere delle cose che ho, la dittatura delle cose che mi hanno detto che devo raggiungere ed avere. Non mi chiedo se davvero ho bisogno di alzarmi all'alba per lavorare per avere soldi per comprare. Perdere il bello per avere il necessario. Un necessario stabilito da altri. O forse da nessuno.
Accettato da tutti come normale. Come é normale quel filo sottile di tristezza, l'occhio che cerca l'orizzonte tra i palazzi.
Assago, ascensore, scrivania. Sono andato molto lungo. Fine della corsa.

mercoledì 26 settembre 2012

PROVA 1 2 3

8.33 moscova. Full touch. Già l'ora avrebbe dovuto essere 8.32 ma per un minuto ho lasciato andare.
Il problema piuttosto é nell'assenza di corpo dei tasti.
Cadorna, la banchina opposta in un'occhiata mi hq fatto capire a chi si riferisse la voce scocciata che invitava a non insistere nel voler salire. Non ai miei, anche se il treno é più affollato del solito per essere in Sant'Ambrogio.
Correggo in diretta perché so che sono indolente in post produzione e per forza la cosa rallenta. Devo però ammettere che é meno peggio di quanto temessi, diciamo che ci si può lavorare.
Stamattina guardo le persone nella loro dimensione di forzati alla vita.
Non mi sono espresso al meglio, me ne rendo conto. La ragazza seduta davanti a me, me ne accorgo solo ora per via degli auricolari, sta leggendo un romanzo ad alta voce. Con la serenità di chi fa una cosa del tutto normale, anche se ha smesso appena usciti dalla galleria.
In mezzo al riso ormai alto di Bowie non c'é traccia. Migrano, gli aironi?

giovedì 20 settembre 2012

POSSIBILI PROBLEMI TECNICI

19.35 stazione in arrivo Santagostino. Una fisarmonica dai tasti consunti ci allieta il viaggio al crepuscolo.
Entrando in galleria il cielo rifletteva ancora gli ultimi raggi di sole, a Piola prevedo il buio delle sere autunnali.
Il ragazzo con la fisarmonica non è sceso per cambiare vagone, visto da qui sembra quasi che abbia rinunciato all'elemosina e ora suoni per sè. Si guarda le dita e tenta virtuosismi, dopo una giornata intera a caritare.
Cadorna, non é salito quasi nessuno.
Mi toglieranno il blackberry, il fatto é questo. Già domani in teoria, ma spero di guadagnarmi qualche giorno per traslocare. Sí, da uno smartphone si trasloca tanto quanto da un ufficio.
Non mi voglio tediare con le questioni filosofiche e teoriche, ampiamente sviscerate nel periodo non narrato.
Senza bberry le metronote sono a rischio estinzione. Carta e penna non tradiscono. Possono entrambe finire, ma il giorno dopo si ricomperano.
Non resto senza cellulare, nemmeno senza smartphone. Senza tastiera fisica, sic. Non é lana caprina, per niente. Il peso dei tasti, la resistenza alla pressione delle dita, per scrivere qualcosa di più consistente di haiku a 160 caratteri, sono caratteristiche essenziali.
Resto con un full touch. Problemi da scrittore contemporaneo. Da blogger metropolitano.
Posso provare, ma so già che andrà in puzza. Obiettivamente le mie dita non sono da full touch. Ho avuto il mio primo cellulare a 19 anni, secondo anno di università. Un telital verde grosso come un astuccio scolastico. Se ricordo bene, con l'antenna estraibile.
Non solo, attorno ai quattordici anni ho scritto anche lettere. Di carta. A mano. Spedite con l'indirizzo sulla busta e il francobollo.
Il T9 mi ha lasciato a bocca aperta la prima volta che l'ho visto in azione. Ho avuto un modem 56k. E scaricato, mettendoci anche del bel tempo, dei .wav da internet.
Ho scritto i miei primi appunti di viaggio con una penna a sfera su un blocco note. Scrivere le metronote in full touch é fuori discussione.

SEGNI DI VITA

8.01 ho fatto due conti, e se non li ho sbagliati questo é il quarto post da quando sono tornato dalle ferie. Poco più del decimo tra agosto e settembre.
Non che ci sia obbligo di frequenza, ma si potrebbe leggere un declino. Il solito, si potrebbe malignare. Entusiasmi allo zolfo che in una fiammata lasciano poco più che cenere.
A guardare bene, peró, posso solo darmi atto di una più che discreta frequenza. Ammetto solo di non fare più sia le andate che i ritorni. Di non fare da un bel po' i ritorni.
Quello che succede è piuttosto che sto usando spesso l'auto, ma quando viaggio in treno raramente lascio perdere il viaggio.
Oggi é un caso a sè. Stiamo viaggiando verso Moscova e ho bruciato metà viaggio a raccontarmi quello che già sapevo, ho portato la giustificazione dei genitori.
Osservoda qualche fermata almeno quattro dormienti. Tranne uno, sono tutti sui sedili d'angolo, coi gomiti sul corrimano. Uno, due ora hanno aperto gli occhi. Cadorna sarà, deduco, la loro fermata.
Da seduto, riesco a vederne solo uno. Scarpe da tennis, jeans, polo grigia, borsello. Viso paffuto, occhiali senza montatura, qualche capello grigio. Le braccia incrociate sul petto si alzano e abbassano con regolarità al ritmo del respiro.
Credo dorma in maniera abbastanza decisa. Profondo non é un aggettivo per il sonno del pendolare.
Non é comunque lo stato di sonno o veglia a fare la differenza. Basta chiudere gli occhi.
Ha l'aria salva, il mio compagno di viaggio dal mento sfuggente. Finché terrà gli occhi chiusi non sarà qui. Non in metropolitana, non a Milano. Non avrà un lavoro alla fine della corsa, non una casa o una famiglia al capo opposto.
È fuori, in pausa, altrove. I pensieri e le preoccupazioni, per raggiungerlo, devono indossare i panni degli attori, diventare simboli, perdendo così gli spigoli, i bordi taglienti, le spine, le lame.
Dorme, ed è intatto. Qui, nelle vene sotterranee della città, nella posta pneumatica che ci consegna ai nostri datori di lavoro, ha evitato lo status di risorsa, di globulo rosso carico di forza lavoro, fino all'ultimo. Le porte del treno erano aperte da un paio di secondi, a Famagosta, quando ha chiuso la bocca, aperto gli occhi ed é uscito.
Con le metro note ho rinunciato a questa opzione, ne sono anzi diventato l'opposto. Non mi faccio più semplicemente trasportare, ho gli occhi aperti il doppio.
Anche quando non scrivo. Sono sveglio per i vigili, per i dormienti, per chi é altrove, per chi non pensa.
La scala mobile é fuori servizio, l'aria di Assago fresca. Iniziamo.

venerdì 14 settembre 2012

PROSPETTIVE

8.34 fermata Gioia. E dire che stamattina volevo dormire in metropolitana.
All'incrocio di Ampere e Vallazze, fermi al semaforo assieme a me, c'erano un padre e due bambini tra i cinque e gli otto anni. In bicicletta. Lui alto, con un completo grigio chiaro e scarpe nere di cuoio,dei bambini ricordo solo i caschi rossi.
Hanno fatto un pezzo di Ampere piuttosto lungo insieme a me, perché il piccolo ogni poche pedalate era fermo. Ci saremo superati a vicenda almeno quattro volte.
In quel tratto di strada condiviso ho conosciuto la stanchezza del giovane papà ciclista, oltre che la sua voce incredibilmente acuta e femminile, ma già dal semaforo mi sono sintonizzato sulla sua vita.
Mi sono chiesto non se lo farei, sia in termini di tempo sia di sicurezza; piuttosto, mi sono domandato se potrei accettare che i miei figli, se vorranno andare a scuola in bicicletta,
debbano attraversare strade e semafori, respirando scarichi di auto, vedendo solo il grigio dell'asfalto, accompagnati da un padre che spera nella pioggia per potersi evitare la perdita di tempo e lo stress.
Sono già fuori terra, verso Assago, ma il mio pensiero é appena agli esordi. Non basteràl'extra time della scala mobile, non può bastare nemmeno l'ascensore.
Risponderò un'altra volta alle domande che mi sta facendo il me futuro padre.

giovedì 13 settembre 2012

STAGIONI

8.29, Stazione Centrale.
Mi rassegnerò a riportare la sveglia agli orari di prima dell'estate. In fondo oggi non é nemmeno il decimo giorno di lavoro da che sono rientrato. Molto meno del decimo giorno definibile di lavoro senza provare almeno un po' di vergogna o di senso di colpa. Insomma, sono un diesel, tempo di scaldare il motore e smetto di mettere in discussione le regole per iniziare a seguirle.
Garibaldi, ho appena deciso di smettere un'altra cosa: stare in piedi senza appoggiarmi. Sì, fico usare il piede marino, che tra parentesi non ho, ma mi fanno male le gambe e in particolare stamattina i risultati sono piuttosto deludenti.
Stamattina la meteosfera segnalava meno di diciassette gradi all'esterno. Sei mal contati meno di ieri. Golfino, allora. Tolto di fretta al primo contatto con la galleria della metropolitana, ma intanto un passo significativo verso la normalizzazione.
Cadorna, basta piede marino e schiena cittadina, ho finalmente il mio sedile. Se Atm vigilasse meglio i suoi depositi potrei anche avere una buona posizione per cercare Bowie, che non vedo da oltre un mese, ma l'artista di turno aveva bisogno di più spazio creativo di quanto ne garantisse la sola fiancata del treno.
Porta Genova, ritmi blandi di periferia.
Tornare alla normalità, allontanare i pensieri consueti di fine estate, archiviare i ricordi e le domande. Certo che esiste un altro modo. Ne esistono a centinaia. Gran parte dei quali fondati su un tenore di vita in confronto al quale il pendolarismo è una vita agiata.
Lo so che denaro ed agi sono proprio ciò che metto in discussione. No, non é colpa di Into the wild. Anzi, riguardandolo ha perso non pochi punti.
Curva del treno, regalo di montagne all'orizzonte, per compensarmi del finestrino cieco.
Solo questione di tempo.

lunedì 10 settembre 2012

RIPROVIAMO

7.48 ho appena passato Centrale. Per l'esattezza sono già a Gioia.
Ho fatto cose, scritto a gente. Ho un fratello oltreoceano che pare non riesca a trovare un alloggio a prezzi umani. Con 12 mesi a stelle e strisce davanti, non é poca cosa.
Garibaldi, sale un frate, mentre una voce di servizio chiede lumi circa un allarme attivato, non ho ben capito dove.
Stamattina sono indolente, mi distraggo, sbircio i free press dei miei compagni di viaggio. Sbircio le loro vite, ma quello lo faccio sempre.
Cadorna, cambio della guardia.
Vite per vite, vestiti, scarpe, occhiaie, make up che raffazzonano età, polo da supermercato, anello vistosi, occhiali fuori moda, borsette e borse frigo per pasti consumati alla scrivania.
A volte passano troppo in fretta per essere più di una sensazione di colore, o un dettaglio poco significativo.
A volte sono invece talmente vivi e vive da rimpiangere di non conoscerli, parlare loro, scoprire le vite che fanno con me un tratto di strada.
Ieri sera, andando a messa con Paola, ho visto Hakim, il pizzaiolo che abbiamo sotto casa. Era in piedi, illuminato dal sole del tramonto, davanti all'ingresso della sua pizzeria. L'ho visto dal lato opposto della strada, e solo dopo aver distolto lo sguardo una prima volta ho deciso di guardarlo di nuovo ed alzare un braccio di saluto. Con un accenno di sorriso, ha risposto con un identico braccio alzato.
I marciapiedi opposti di via Vallazze, come i sedili opposti della metropolitana o gli opposti capi dell'Atlantico. Distanze insormontabili quando non si decide di alzare un braccio. Di non salutare un collega seduto, a volte, di fianco a te. Di non scrivere ad un amico, o un fratello, spedito dalla vita ad un imprecisato numero di fusi orari di distanza.

giovedì 6 settembre 2012

ORIGINI

8.39 giovedì mercato. Lunedì coma, mercoledì basket. E via dicendo. Ricostruire routines aiuta. Spedisce i ricordi in un passato mitico più in fretta. I giorni intruppati fanno sfollare quelli liberi.
Oggi mercato, coi funghi e i fichi e l'uva. Come le vetrine dei negozi, cambio di stagione.
Una vocina infantile esclama "su in marcia!" alle mie spalle, comparendo poco dopo nel mio campo visivo per mano a sua mamma. La vocina in infradito, la mamma con una scarpa aperta un po' più elaborata. Non proprio calzature da marcia, a voler fare i puntigliosi.
In marcia. Fin da bambini. Il movimento in città é marziale. Eliminando il disturbo che la natura reca agli occhi, costringendo il passo a rallentare, sostare davanti a colori e forme ignote, si marcia più facilmente.
Garibaldi, oggi finalmente all'altezza della sua fama. Gente profumata e variopinta, che annuso dal mio comodo sedile.
Marciapiedi, corsie di marcia. Lisci e compatti, per non inciampare, dicono. Pe non dare appigli. Il sentiero é nemico del progresso. Distoglie la mente dagli obiettivi di lungo termine per concentrarla su passaggi impervi. Per convincerla che al prossimo scollinamento si sarà in vista di qualcosa. Per far andare avanti il piede stanco ancora un po'.
Cadorna, decompressione.
Sui marciapiedi si guadagna tempo, ci si può portare avanti col lavoro. Telefonare, addirittura leggere. Uno spreco di tempo, pensare a camminare: come se dovessimo pensare a respirare, o a far battere il cuore.
Stamattina, sul marciapiede di via Ampere, in mezzo alle bancarelle quasi pronte, devo aver sbagliato qualcosa: non mi sono portato avanti, ma indietro.
Una costruzione intonacata di ocra, poco più che un box, con i piedi abbelliti di fiori gialli. Appoggiato ad una parete, stanco di calura, un pergolato di vite, nella cui ombra maculata, sulla terra polverosa, una manciata di cassette custodiva fichi, meloni e qualche mazzetto di origano fresco. Nella parte più fresca e fitta dell'ombra, una giovane coppia, vestita semplicemente, ed un cane addormentato. Davanti, una bilancia ed una cassetta di legno per i soldi. Alle loro spalle, una distesa di alberi da frutta e file di ortaggi abbagliati dal sole.
Quello che non c'era nella sparuta bancarella, lo andava a prendere lui direttamente dal campo. Se lo accompagnavi a scegliere, lungo la strada ti parlava di acqua e stagioni. Né tu, né lui marciavate.

mercoledì 5 settembre 2012

TRANSUMANZA

8.21 settembre, andiamo.
Era fine luglio, l'ultima volta. Era una vita fa, o almeno una stagione.
Torno in punta di piedi, con un po' di soggezione, alle metro note. Negli ultimi due giorni ho anche pensato a cosa scrivere; il taglio era tutt'altro, perché c'era un pubblico preoccupato ad aspettarmi. Poco prima di prendere in mano il taccuino in specie di blackberry ho realizzato che l'unica persona che aspettava era il sottoscritto.
Aspettavo di interrompere il silenzio. Non di capire se il progetto fosse già morto. Forse un pubblico in attesa c'era, un me che guardava con occhi terzi la pagina web non più aggiornata e se la immaginava abbandonata negli anni, come un relitto spaziale da film di fantascienza.
Sono tornato, al lavoro, all'uso della metropolitana e al blog.
Cadorna; ha ancora qualcosa di estivo, ma solo nel numero ridotto di persone che sono entrate. La pioggia di questi giorni, il colore grigio del cielo e il freddo hanno già messo in chiaro le cose. Per domani è previsto un altro anticiclone, e gli esperti sono febbrilmente impegnati a scartabellare il libro di epica dei propri figli per trovargli un nome. Fa poca differenza che arrivi e che nome abbia. Ultimo, potrebbero chiamarlo, ma é il classico nome che scatenerebbe Murphy portandoci in bermuda a Natale.
Romolo. La fermata, non l'anticiclone. Il treno é quasi vuoto. La crisi, le vacanze a settembre. I figli ritirati da scuola e mandati a lavorare. All'America, o nella Ruhr.
Il cielo fuori Famagosta é una lastra grigia, degno soffitto del girone parainfernale che ci ostiniamo a chiamare business park.
Dedico l'ultimo minuto del viaggio a mio fratello, che proprio stamattina bucherà questo cielo di metallo per mettere prua verso Boston. All'America, lui che è medico. Gli altri, a lavorare per Anghela nella Ruhr.
Buon viaggio Lalo.

martedì 31 luglio 2012

CAMBIO DELLA GUARDIA

18.08 non volevo scrivere nulla, prova ne sia che siamo già in arrivo a Cadorna, ma é successo un fatto che non potevo tacere.
Piccola, infima cronaca a dire il vero, ma avvenuta proprio nel mio specifico ambiente, nell'acquario di cui provo a descrivere i pesci. Se sapessi di altri blogger della linea verde, lascerei loro la notizia, ma allo stato attuale risulto essere, a me stesso almeno, monopolista.
Hanno licenziato la Voce. Sostituita da una più giovane, misurata nel parlare, informata dei fatti e con migliore conoscenza della lingua inglese. Come dice questa "fourteen"... Oxford. E non commette più l'errore di tradurre "Fermata Garibaldi" in "Stop Garibaldi". Basta mandati d'arresto per le eminenze del passato cui Milano ha dedicato piazze e strade. La nuova Voce sa che a Romolo c'é lo Iulm, e che a S. Ambrogio c'é il museo della Scienza e della Tecnica. Te lo dice con lunghe pause, consonanti suadenti.
Il nuovo avanza molto più in fretta del vecchio che ha sostituito. D'altra parte la Milano di expo 2015 non poteva permettersi di avere una metropolitana irrisa dagli inglesi.
Anzi, mi sento anche un po' responsabile, la storia degli ordini di arresto la pensavo e l'ho detta.
La nuova Voce sa anche che a Piola c'é il politecnico. Avanti cent'anni, o almeno tre.

ABITUDINE

8.08 sott'acqua. Così ci si sente. Anche scrivere diventa difficile. Chinare il capo verso lo schermo comporta una piega della pelle del collo che in meno di un minuto ospita un rivolo. Tenere i gomiti vicino al corpo perché le braccia tengano in mano il blackberry mette a repentaglio la socialità dell'intera giornata con quello che comporta per le ascelle. Usare le mani per scrivere le distoglie dal servizio di pulizia della fronte.
Questa la logistica, ed è il meno.
L'argomento dello scrivere é pure peggio. è uguale a ieri, due giorni, una settimana, un mese fa. Mette caldo per la sua ripetitività. Ripetitivo era il commento, lapidario, di un 5 nel compito in classe di italiano. Io potrei non arrivare nemmeno al cinque. Rischio la nota di biasimo, potrei dar l'idea di farlo apposta. Finire in direzione.
La scrittura in questi casi é pura proiezione della biologia. In condizioni estreme l'organismo riduce al minimo l'attività, concentrandola sulle funzioni base, sulle routine strettamente necessarie. Lo svenimento é la versione umana della palla che fa il porcospino.
In queste condizioni scrivo come e quello che vivo. Cieco all'esterno, sordo, immobile. La prosa ne perde, ne guadagna l'organismo.
Butto un occhio fuori dal mio perimetro, abbiamo passato Famagosta. La socialità é compromessa, ma a breve mi tufferò nei venti gradi climatizzati dell'ufficio.

lunedì 30 luglio 2012

ERRORE

8.32 storia della corvee del divertimento, detta anche del weekend talmente organizzato che anziché riposare devasta.
Caiazzo. Mi guardo attorno con aria instupidita.
Sonno e mal di testa sono i miei compagni di viaggio. Gli altri, vaghi contorni di abiti chiari e maniche corte, sono solo batterie di calore che scaricano energia nell'aria.
Se in questi giorni dovessi andare in ufficio in giacca e cravatta, mi darei malato. Il solo pensiero aumenta il già copioso perlage della mia fronte.
Esclusi i blackout in macchina, ho chiuso gli occhi alle due e venti. Oggettivamente, qualcosa di sbagliato è avvenuto.
Garibaldi ci perderà. La gente è salita a tetris, lasciando non pochi pezzi ad aspettare il prossimo turno in banchina.
C'è la possibilità che io conosca la ragazza di cui intravedo la gonna color pesca in piedi vicino a me, ma detto tra noi non sono in grado di affrontare una conversazione sociale in questo momento. In più, é uscita dal mio campo visivo.
Se non bastasse, vedendola scendere a cadorna, poteva non essere lei.
S. Agostino, non dico che faccia fresco, ma temperatura e perlage sono migliorati.
Invidio le donne, per la varietà di abbigliamento che é loro concesso di indossare. Soprattutto d'estate. Io sono passato dallo scegliere quale camicia con quale cravatta e completo a quale polo con quali pantaloni lunghi. Magerrima consolazione.
Famagosta, si avvicina inesorabile il luogo in cui oggi ruberò lo stipendio fissando con aria assente un video.
Se posso elargire un consiglio, dal mare tornate presto, la domenica.

giovedì 26 luglio 2012

VAPORE

7.55 loreto. Non escludo la decisione drastica. Gioia sarebbe la fermata adatta. Potrei scendere lí ed aspettare finché non passa un Assago nuovo.
In questo per respirare servono le branchie, tra l'altro per respirare sudore, vapore acqueo altrui.
Centrale, é la fine. Gli spazi si riempiono, il momentaneo sollievo delle porte aperte lascia spazio alla nuova ondata di calore umano.
Al normale sforzo di sopravvivenza sto aggiungendo quello per limitare l'esplosione in avanti della mia pancia da beriberi, arrivata dopo queste ferie a livelli inaccettabili.
Garibaldi, il saldo entrate uscite chiude di nuovo in utile. Ma non é un bene, fare cassa di corpi. Moscova, Lanza, Cadorna. Tre fermate. Due, ora.
Come si può non palleggiarsi l'idea di andare in ufficio in macchina?
E se a Cadorna non si svuotasse? Non scherziamo. Ma se succedesse?
Ci siamo. Cadorna. Escono, escono! Sono seduto, ma abbassando la quota testa di 50 centimetri il tasso di umidità ha raggiunto livelli intollerabili. Si vive di refoli d'aria, ma sono pochi ed incostanti, intanto il corpo va avanti per i fatti suoi col mantice di aria ed acqua.
Ora il treno é quasi vuoto, ma ogni passeggero sembra aver lasciato la sua impronta, il suo decimo di grado, e fatti due rapidi calcoli tutti questi decimi fanno la morte.
Romolo. In piedi davanti a me, a metá vagone, c'é un uomo con stivali scamosciati chiari alti, a metá gamba. Non sono un esperto di moda, ma per me sono da donna. Ho guardato bene, per accertarmi che non fosse un miraggio. Non lo era.
Ultima tratta. Il riso é cresciuto in questa settimana e mezza.

martedì 24 luglio 2012

RISVEGLI

8.02 perdere le routine non é mai stato facile come settimana scorsa. Lontano. Qualsiasi cosa si é allontanata come se le settimane fossero state molte di più. I gesti di casa si sono fatti remoti, le questioni di lavoro una lontana eco. Le abitudini, lasciate a casa come vestiti da città.
Tra gli indumenti mentali accantonati, anche il blog (credo sia la prima volta che lo chiamo "blog"). Così é capitato che abbia viaggiato con la sensazione di aver dimenticato qualcosa; una specie di ronzio, fino a Cadorna.
Ê un peccato festeggiare i cento post con un'edizione d'emergenza tirata insieme nelle ultime fermate giusto per rompere il silenzio, ma il centesimo viaggio stava diventando una specie di maledizione, di blocco. Ansia da prestazione.
Quella che non mi tocca mentre mi avvicino all'ufficio con le mie centosessanta e spicci emal da leggere.
Si ricomincia

giovedì 12 luglio 2012

COUNTDOWN


7.06 come ai tempi di Bernareggio, con conseguenze minori, il tempismo é essenziale. Presi singolarmente i gesti non eseguiti alla perfezione sono quasi invisibili, questione di pochi secondi.
4 minuti di posponi alla sveglia.
40 secondi di coccole in più a letto.
10 di disorientamento in cucina perché gli occhi non si aprono.
40 a cercare il colino dell'arancia che non è al solito posto.
5 a decidere tra i biscotti e il pane e nutella, perché sai che entrambe le confezioni sono da aprire.
2 a prendere le forbici.
10 ad aprire il vasetto nuovo di nutella.
30 perché hai la pensata di pulire il vecchio vasetto col caffelatte caldo.
5 perché il dentifricio é agli sgoccioli.
20 perché hai il cellulare, che fa da torcia mentre rovisti nei cassetti, nella mano sinistra anziché nella destra.
40 perché, infastidito dalle calze blu e nere ormai indistinguibili tra loro, le prendi in blocco, le dividi in cabina armadio e le rimetti nel cassetto. Constatando peraltro che le blu sono diventate una minoranza etnica prossima all'estinzione.
20 secondi li spendi per un supplemento di indecisione nello scegliere i pantaloni, 3 a salutare il vicino che incroci sulle scale, qualcosa lo butti via camminando più lentamente in via Ampere perché guardi le bancarelle.
Non serve neanche fare le somme, i numeri sono tali e tanti che non puoi nemmeno dire qualcosa se prendi quasi al volo il treno delle 7.06, che sai bene viaggi già al di là della linea di confine dell'alba. Un passo per volta hai perso il vantaggio sulla marea umana montante, come succedeva a Bernareggio.
Ogni box una sorgente, ogni vialetto un ruscello, poi le vie dei quartieri residenziali, i primi semafori a compattare i flussi, le vie centrali dei paesi, poi le provinciali. Sempre più pressione, sempre più volume. Prima invisibili puntini, poi innocue file di poche auto, fino a sfociare schiumanti in tangenziale.
Stare davanti allo tsunami di forza lavoro, oppure finirci nel mezzo, era pura questione di coordinamento dei movimenti.
Che poi sia disumano, scendere dal letto direttamente su una linea di produzione, è esattamente uno di quei pensieri che fanno perdere quei secondi vitali.
Sono fuori, verso assago, cerco Bowie.
Eccolo! Dopo aver visto un elicottero, ieri mattina, che spargeva sui campi non so quale prodotto, le speranze erano al minimo.
Invece era lí, un profilo agile contro il verde della risaia. Non ho la controprova, ma se avessi spaccato il minuto forse non lo avrei visto.

mercoledì 11 luglio 2012

KARMA

18.55 word mole ha crashato. Un gioco del blackberry non crasha. Non a caso.
Lo fa ad esempio per farmi ricordare di scrivere anziché drogarmi il cervello.
Non si occupa poi delle conseguenze, come ad esempio avere un argomento che non sia il caldo, la gente stanca, le donne vestite estive, la voce amica (che su questo treno al vapore non c'é).
La modulazione per magia passa da 8 a 14 bit, dice un - ad occhio e croce - studente di informatica in bermuda militari e tshirt.
Avevo sulla mia carrozza, fino a poco fa, una collega. Era anche in banchina. Parlava al telefono. Avevo voglia di scrivere. Insomma non ci siamo nemmeno salutati. Non é nemmeno il primo episodio travisabile per reciproca antipatia. A volte certe chine si imboccano così.
Una ragazza in vestitino verde é scivolata lungo i suoi sandali fino a toccare il pavimento del treno con le dita smaltate di rosa, mentre i talloni poggiano ridicoli a metà del plantare.
Plantare, eh? Hat trick direi, proprietà di linguaggio nel descrivere l'abbigliamento! Volevo azzardare che i sandali a scivolo hanno il plateau, ma non esageriamo.
Scrivo frenetico, Moscova é arrivata in un attimo.
Un nano canuto in brache corte parla con la spalla della spilungona in abito a fiori che gli siede di fianco. Forse non é nemmeno cosí basso, solo ingobbito, ma tant'é, fa lo splendido col bicipite di lei che si china per parlargli.
Un suonatore di fisarmonica ci allieta con un brano suonato al doppio della velocità consentita, una donna in jeans salita con me ad assago per poco non si perdeva la sua fermata. Gioia.
Il fisarmonicista gira, un ragazzo giovane ed alto in polo rossa, scende in centrale.
Il treno al vapore si scalda, continua. Movimenti piccoli, pensieri piccoli, respiri brevi. Non basta ma aiuta.
Il seduttore di spalle e la sua preda continuano a parlare, lei si aggiusta i capelli dietro l'orecchio sinistro e sorride. Funziona. Ha già funzionato tempo fa, mi sa, visto che lui, guadagnando qualche centimetro, le ha schioccato un bacio sulla guancia.
Anche se in effetti la guancia...
Piola, che il macchinista ha mancato di mezza carrozza, sarebbe la mia, ma stasera ho un supplemento di sofferenza.
Non posso più alzare le braccia.
Arriverò alla porta senza appendermi al corrimano, buona fortuna.

AMNESIA


6.59 tra due minuti passa un altro Abbiategrasso, e questo non va bene. Ho iniziato prima perché, dopo quattro giorni di viaggi in auto, percepiti come sei, volevo spiegare la lunga assenza, e sgranchire le dita. Arriva il secondo Abbiategrasso, atelier di urban art.
In banchina conto tre persone, come i minuti di attesa per il mio treno. Una ragazza in jeans e stivali neri mi passa davanti soffiandosi il naso.
Uno per volta arrivano nuovi passeggeri.
Non voglio esagerare, ma uno dei motivi per cui stamattina non ho preso l'auto é stato scrivere. Due giorni fa, imboccando la tangenziale, stavo valutando di registrare una nota vocale durante il viaggio e trascriverla nel blog.
Sono a bordo, intanto, in un treno nuovo, con miss Voce e tutto il resto.
Mi mancavo, insomma.
Per quanto mi mancasse anche la tangenziale di mattina, da molto più tempo però.
Le persone grasse fanno tenerezza a prima vista. Possono essere le peggiori persone della terra, ma si fa l'elemosina più volentieri, il che a pensarci é paradossale, ad un mendicante grasso. Se poi ha la barba devi mettere il blocco alle portiere per non scendere ad abbracciarlo.
Il ciccione con la maglia viola tesa in stadi sovrapposti di adipe, che mi sedeva davanti con aria instupidita, faceva proprio questo effetto.
Gioia, fermata Gioia. Scontro tra Voci. In stazione, più laconica e chiaramente più matura di diversi anni, la Voce della stazione, ribadisce il concetto della giovane Voce del treno, ricordando, a differenza sua, dove il treno sia diretto.
In macchina ammetto che non mi manchi una sola cosa di quelle che viaggiano qui sotto. Una.
Una manca in effetti, il chilometro tra famagosta ed Assago. Con le sue promesse di vita selvatica. Manca Bowie. Bowie? Non sono sicurissimo di averlo battezzato così.
Cadorna. Sedile d'angolo.
Voce scimmiotta le parenti inglesi, ma secondo me non é mai stata sul tube. Io non ci metto piede, se sto facendo bene i conti, da quasi dieci anni, ma sono quasi certo che le voci britanniche, in arrivo in stazione, non dicano "stop Sant'Agostino". Sintetico é sintetico, l'inglese, ma ha anche una grammatica, e stop sant'agostino é un ordine di arresto.
Servirebbe un passeggero britannico per chiedere conferma, ma sono quasi certo che nelle traduzioni manchino i verbi.
Famagosta si avvicina, e i miei propositi di verificare la mia tesi aspettano giusto una fermata, per carineria, prima di sparire nel deserto dei progetti sospesi.
Vado a cercare Bowie, mi capirete, non lo vedo da un po'.
Bemtornato, me.

mercoledì 4 luglio 2012

HAIKU

20.13 questa sera di luglio, nell'imminenza del temporale, la gente sembra triste. Come fosse settembre.
[ndr: scritta su un 23 che avrebbe dovuto andare in piazza Leonardo da Vinci ma ha puntato dritto all'Ortica. Mentre l'imminenza diventava sostanza]

RABBIA

7.05 8 minuti otto di attesa in banchina per aver tardato di un minuto, ed ecco il mio carro bestiame. Sono entrato masticando insulti, sempre più rabbiosi ad ogni vagone affollato che mi sfilava davanti. Fino al mio, maledetta sauna, in cui assisto ad un dialogo tra non meglio definiti addetti atm - gilet "tattico", leggi da pescatore, blu con logo - sulle nuove tratte di metropolitana in costruzione/progettazione/intenzione.
Andate avanti, trapanate il suolo di Milano, e poi iniettate dentro questa vecchia linfa ferrosa, maleodorante e calda. Ridipingetela ogni tanto, imbellettatela, sapendo che nei depositi i writers probabilmente ci abitano ed hanno armadietti in cui tengono i colori.
Ok, sto diventando un vecchio da buca dell'Enel. Chiudo. A Garibaldi.

martedì 3 luglio 2012

RITORNO AL RITORNO

19.15 l'ultimo sole ha smesso un istante fa di scaldarmi il coppino, ora mi godo il fresco del treno - quello bello, quello nuovo, quello con la voce amica! - e mi regalo, dopo tanto tempo, un ritorno annotato.
Non ho fatto una verifica esatta, ma a sensazione non scrivevo durante un viaggio di ritorno da diverso tempo.
Con le scuse più banali, accettando con indulgenza la scusa della stanchezza fisica, anche in giorni da sindacalista, 8-17.
S. Agostino, al ritorno ha tutto un altro aspetto. La gente che sale e scende ha meno fretta, qualcuno accenna persino un sorriso al nulla.
Cadorna, stiamo facendo il tempone. Nulla in confronto alle andate in cui mi drogo di clever driver, che ha sostituito angry birds. Quello che conta é spegnere il cervello con rompicapi autistici, e in un attimo si sbuca all'aria aperta.
Moscova, Voceamica non ha molto da dirci sulla fermata. Prende fiato per descriverci Garibaldieffeesse, lì sì che ci si connette alla grande con le linee interurbane più folli.
Ho due regazzini seduti vicino, la ragazzetta cicciottella nel weekend é stata da Wedra.. Incredibile che certi soprannomi abbiano fatto il salto di generazione, anche io avevo un Wedra. Non andavo a trovarlo nel weekend, anzi, era solo un nome che girava in oratorio.
Una ragazza pesca inveisce con la mamma arancione, faccia a faccia sono identiche, al di là del colore e del taglio dei loro abitini estivi.
Io intanto ricevo sms in sottofondo, e scrivo un po' qui un po' là.
Incompiuto. Stamattina, che non è ieri sera, in cabina armadio mi é venuto il dubbio. Non ho chiuso il ritorno, l'ho perso verso Caiazzo, credo.
Lo chiudo postumo ora, camminando in una via Ampere in cui, tolto me, ci sono solo merli e rondini.

lunedì 2 luglio 2012

SOPRAVVIVERE

7.13 Gioia. La fermata.
Gonfio di acqua frizzante.
Circondato di quella che mia mamma chiama "umanità dolente". La stessa che, nonostante l'ora, ci regala in abbondanza la consueta Garibaldi.
Un signore sulla settantina ha una felpa color mattone buttata sulle spalle.
Sic. Non credo sia un miraggio. Porta mocassini senza calze e una tshirt sdrucita blu marina.
E tiene una felpa addosso.
Se qualcuno rispondesse, parlerei anche. Ma appunto parlare non é scrivere, quindi cazzeggio sul tema.
Cadorna, speravo di guadagnarmi l'angolo e invece il mio corpulento e sonnolento compagno di viaggio mi accompagna ancora per un po'.
Di nuovo il cappello da cocainomane di corso Como. Salito a Cadorna. Non so né riesco a ricordare se sotto abbia la stessa persona, ma il cappello é inconfondibile.
Potrei essere costretto a decidere di muovermi in macchina finché non passa questo caldo. Sperare che i treni cambino temperatura é pia illusione. Svegliarmi prima delle sei autolesionismo. D'accordo, oggi ho perso il 6.55, ma qui non é la massa umana a fare la temperatura.
Incrocio due volte lo sguardo critico di una donna troppo magra e anta per permettersi la minigonna nera, le scarpe con taccazzo da cubista e la canotta bianca che indossa. Le gambe sono magrissime, quasi deformi.
Stamattina le porte assordano col fischio pneumatico della chiusura.
Per fortuna questa era l'ultima.
Vediamo se l'afa ha cacciato Bowie. Il sole dopo Famagosta è già caldo.
Solo riso, peccato.

mercoledì 27 giugno 2012

A LEONE WERTH


7.52 dei treni forno ho già detto. Aggiungo solo che anche oggi non mi é andata meglio di ieri, anzi, l'ora tarda, forzata dall'inconvincibilità del mio corpo ad iniziare la giornata, mi ha regalato un sacco di compagni di viaggio in più. Con le conseguenze facilmente intuibili.
Una ragazza coi capelli raccolti in cima al lungo collo inizia in questo momento a leggere il piccolo principe. Ai piedi ha Superga di tela bianche, e sta per iniziare un viaggio.
Vorrei la sua innocenza, vorrei affrontare la prima pagina, quella del boa che sta per mangiare l'orso, senza sapere nulla di quello che mi aspetta dopo.
Dalla mia posizione vedo (vedevo, si è spostata) le pagine appena oltre la sua guancia intenta. La sua vita sta per cambiare, lei nemmeno lo sa. Non sa che si innamorerà con quel libro, che lo rileggerà altre volte a distanza di anni. Che lo leggerà ai suoi bambini, come hanno fatto i miei genitori.
E' scesa a Garibaldi, in cambio di un'infornata di corpi e calore e respiri e occhi e braccia. A quest'ora starà leggendo, magari in strada, camminando, dell'astronomo col fez che ha scoperto l'asteroide.
Quando leggerà "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale é invisibile agli occhi." forse avrà le lacrime agli occhi (io in questo momento le ho).
Non lo ha ancora letto, non può certo sapere che, crescendo, potrebbe addirittura arrivare un momento in cui quelle parole saranno appassite, private del loro senso e del loro spazio nella vita, dalla vita stessa.
Dalla casa.
Dal lavoro.
Dal preparare la cena.
Dal pensare a come sfruttare il weekend.
Come dire o scrivere.
Come uscire da certi angoli.
Potrebbe leggere e chiedersi cosa significhi vedere col cuore, se sia un privilegio dell'età non adulta.
Pensare che é facile scrivere un libro così bello se poi si muore giovani, volando su un monoposto, essendo vissuti quando i Valori e le Virtù erano bianchi, il Male nero, le Scelte esistenziali.
Vorrei passare dai dieci ai trenta per non subire questa tortura. No, Lorenzo. Dopo inizia la tortura.
Dai dieci ai trenta si prende in mano un libro, una mattina, andando a ripetizioni di latino, la metropolitana che é un forno, gente attorno, che scrive frenetica sui blackberry mentre cerca un posto per il borsone della palestra. Lo si apre. A Leone Werth.
E si va via.

martedì 26 giugno 2012

DESTINO


7.25 vederlo arrivare e sapere alla prima occhiata che cosa ti aspetta. A partire da quel muso sporco, l'andatura lenta, il vecchio indicatore di direzione, non elettronico e con la luce fulminata.
E poi i vagoni, già il primo, pieni. Altra gente in banchina, come te, ha capito, si guarda attorno, rassegnata all'inevitabile.
Sali e ti accoglie una famiglia di slavi piena di bambini che con cura coprono il campionario dai sette anni in giù, ti guardi intorno. Sui volti della gente una specie di concentrazione muta, quella che a breve dovresti tentare anche tu invece che scrivere. Il silenzio immobile che cerca di rallentare il formarsi di gocce di sudore sulla fronte.
Un uomo sulla quarantina, calvo e muscoloso, sembra rannicchiato nella polo verde, nel tentativo forse di concentrare le sue energie vitali in un ipotetico centro del suo vasto petto. La ragazza al suo fianco, maglia azzurra e carni rosa in abbondanza, sembra davvero dormire. Forse ha perso i sensi.
Una donna dal netto profilo maya mastica una cicca e getta attorno occhiate oblique. Nessuno che parli.
Si respira col naso, ultimo baluardo di dignità prima di iniziare a sbanfare come labrador portati a spasso.
Un braccio orrendamente magro, poco più che le ossa, si protende, teso, da una canotta gialla verso il corrimano.
Cadorna, seduto, lo schienale caldo della sofferenza di chi ti ha preceduto.
Devo tornare alla sveglia delle sei. Stamattina fuori l'aria era mite, venticinque gradi diceva la meteosfera di casa. Quello che manda in bestia é che stiano facendo la linea cinque mentre ancora fanno girare questi reperti archeologici ferrati.
Evitiamo le polemiche, mettono caldo.
La prossima credo sia Romolo, lo é. Non che ne venga grande conforto.
Si fa largo un pensiero privo di senso, ma per ora abbastanza avvalorato dai fatti. Il caso esiste, lo ha dimostrato anche Cerved.
Flash di Porto Pollo: l'ultima curva dello sterrato prima del parcheggio, con le derive sulla sinistra che già mostrano gli alberi tintinnanti di drizze.
Famagosta, cielo da pioggia.
Ieri Bowie non si é visto, oggi sono sul lato sbagliato del treno, e il solito writer imbecille mi ha anche accecato il finestrino.
Niente dose stamattina, si va in ufficio a rota.

giovedì 21 giugno 2012

AL VOLO


6.50 certe idee nascono nello spazio di attimi ed altrettanto tempo hanno per essere realizzate. Scendi in metropolitana, sai che per Assago passa il 6.55 e quindi quello che arriva non è il tuo, ma il 6.49 per Abbiategrasso.
Lo guardi comunque arrivare e vedi che si tratta di uno di quei treni di ultima generazione, tutto vetri, scuro e lucente, difficilmente apparentabile con le carrette anni Sessanta che ancora girano.
Lo guardi al di là dell'apparenza esteriore, e ti tornano in mente certi viaggi ad aprile e maggio in cui la sua aria condizionata selvaggia ti ha costretto a mettere un golf.
Mentre stai già accelerando il passo hai anche tempo di pensare che, soprattutto a quest'ora, ad Abbiategrasso mandano i treni nuovi, ad Assago i vecchi forni in cui l'aria condizionata serve solo ad aggiungere rumore agli strepiti di galleria che entrano dai finestrini inutilmente abbassati.
A quel punto sei già dentro.
Devi solo ricordarti di scendere a Famagosta.
Se ci riesci, il piano é perfetto: 22 gradi, sedili comodi, finestrini chiusi - non apribili, per l'esattezza - quasi silenzioso a parte la signorina delle fermate, e gli uggioli di una maltese coi codini che cerca di far capire alla padrona che non ama viaggiare in metropolitana.
Due fermate.
Una. Ottima idea.

mercoledì 20 giugno 2012

AFA


6.44 incastonato tra due due ispanici generici di sessi opposti ma simile corporatura, senza nulla che somigli a dell'aria condizionata, a troppe fermate dalla mia, in un treno che come ieri viaggia all'inferno.
Anzi, all'inferno il caldo é secco, se il diavolo non ha inventato le fiamme umide.
De Andrè cerca di darmi conforto, stamattina dall'auricolare sinistro, ma ho l'impressione che sia persino peggiorato lo sbilanciamento sinistra/destra.
Nemmeno questo spazio è più mio. Nessuno spazio scritto lo é mai del tutto.
L'unico effetto dei finestrini aperti è di portare dentro rumori tali da coprire anche i Pearl Jam. Qualche refolo.
Megu Megun, nella lontananza degli auricolari.
L'ispanico più grosso, che forse é arabo, di sicuro era grosso, mi lascia il suo posto. Angolo, contro il fondo del vagone. Appiccicaticcio, del mio dopo il suo sudore.
A Lanza carichiamo calore, in assenza di passeggeri. Dopo quasi un minuto dovrebbe essere abbastanza.
Possibile non sia venuto in mente ancora a nessuno di convogliare l'aria delle gallerie, che immagino fresca e al peggio poco profumata, ma di sicuro pulita, dentro questi forni maledetti? Coi finestrini mi sembra evidente non sia possibile.
Eliana Monti. Sulle note di Come Back, suggerisce di riscrivere la nostra storia e cambiare la nostra vita. Una specie di esame della vista e capisco sia un'agenzia, più che un sito, di incontri. Eliana Monti club. Otto coppie uscite da altrettante pubblicità Pantene descrivono le loro esperienze in un carattere per cui mi occorrerebbe una correzione di lenti che non ho. Occhi che non ho.
Norah Jones. Quando la sua voce affettatamente dolce compare nella playlist, ogni volta, mi prometto di sistemare. La playlist. Iniziando con togliere lei ed un altro paio di scelte discutibili. Continuando con un occhio alla varietà. Jeff Buckley, ancora.
Famagosta, siamo rimasti in dieci: partitella?

martedì 19 giugno 2012

PLUGGED

6.55 preciso come un treno. Di cui d'altro canto é almeno cugino. Proprio mentre inizia la nenia di Nude. Radiohead.
Indiscutibilmente spostata a destra. Tom Waits ha avuto il compito di tester ed il responso é indiscutibile: non erano gli auricolari, non solo loro almeno.
Insomma ho aggiunto la colonna sonora ai miei viaggi, ma pende da una parte.
Meraviglia, l'estate. Rende creativi. Centrale. Punto, di Jovanotti.
L'età influisce anche sulla tecnologia di Jobs. Prima ha smesso di funzionare il sensore delle scarpe da corsa.
Punto é una bossanova, per quel che ne so.
Una donna in bianco lino con lo chignon tiratissimo scende a Garibaldi, a quest'ora una fermata come un'altra.
Severed Hand, Pearl Jam. L'indicatore di batteria mi dice che al ritorno dovrò cercarmi altra compagnia, intanto alzo il volume. Il rimpianto di aver assistito ad un loro concerto dagli spalti, con la possibilità di sedermi tra un brano e l'altro mentre nel parterre la gente surfava é ormai ratificato nella pietra del tempo. li ho persi da troppi album.
Cadorna, a quest'ora i treni volano. Ieri, complice la nuova droga di clever driver, sono arrivato ad Assago in sogno.
Pretty Piece of Flesh, é dance. Se ci ho messo un anno a riattivare la musica, forse sistemerò la playlist come regalo per i quarant'anni. Intanto capiteranno gli One Inch Punch.
Un approssimato settantenne salito non so quando indossa un cappello grigio a righe con fascia dai riflessi metallizzati. Coordinata con la camicia a quadri e maniche corte, ma somiglia comunque alla paccottiglia che gli indiani di Corso Como cercano di piazzare agli ubriachi bene.
Tom Waits fa del suo meglio per cantare Rosie sopra l'ululato della galleria di Romolo. Ottimo nel silenzio di via Ampere addormentata, ora perde molto.
Famagosta, rimaniamo in dieci o poco più. Dei quali uno, il ragazzo arabo nell'angolo vicino a me, nemmeno tanto convinto di voler andare ad Assago. A meno che non sia un posto buono dove dormire.
Spetta a Jeff Buckley musicare la tratta esterna, verde di germogli. Cerco Bowie, non trovo nemmeno un piccione. Corpus Christi Carol non ce la fa, troppo rumore, cede il posto. La casa di carte dei Radiohead mi porta alla timbratrice.

giovedì 14 giugno 2012

SENZA MUSICA

7.23 il primo tentativo di inserire una colonna sonora nei miei viaggi è stato affossato dall'auricolare destro, o sinistro dato che sono uguali, di norma. La differenza é stata nel funzionamento. Sentire solo metà di the gloaming attraversando il mercato é stato sufficiente a convincermi.
Musicastelle outdoor. Incrocio di sguardi fugace tra me ed un cartellone di Moscova - non sono sul tjv, ho semplicemente iniziato a scrivere a Gioia.
Riusciró a ricordarmi di guardare cosa sia? Intanto, vado a finire Soffocare. Musicastelle outdoor. Musicastelle outdoor. Posso farcela, io sono più forte del mio cervello distratto.

mercoledì 13 giugno 2012

ALBA

6.54 uscire di casa alle sei e mezza di mattina. Una Milano di cinguettii ed aria limpida. Negozi chiusi e bar dalle serrande assonnate che sbadigliano. Rare automobili, un silenzio naturale. Pensiero di corse mattutine.
10 minuti di attesa in Piola, e la scoperta che prima delle sette ad Assago ci si va ogni dodici minuti, ed il 6.42 deve essere passato da pochi minuti.
Una trentenne di colore prossima alla sfericità mi fa pensare, con pura curiosità asessuata, all'aspetto dei grandi obesi da nudi. la fermata di Garibaldi mi salva da questo burroso pensiero, portando stupore per la velocità del viaggio.
Risalgo con lo sguardo il proprietario di lucidissime scarpe marroni di cuoio e trovo un uomo in camicia bracalona a maniche corte e cappellino da baseball, il mio vicino manda odore di sudore e pagine di giornale umide.
Miss Sfera é scesa a Lanza, stiamo volando al lavoro.
Anche Cadorna sonnecchia, sale un gruppetto di pendolari mattinieri.
Sbadiglio.
Devo evitare il bis di ieri, e mettermi a testa bassa.
Schiocco il ginocchio.
Due volte.
S. Agostino, scriverlo Sant' é una personale invenzione. Ero convinto che.
Flash sulla cappelletta del Barcelo, e sulla sua cugina in riva all'Elba.
Romolo.
Un ragazzo scarpa bianca da vela indossa jeans ampiamente sopra il ginocchio. E no, non ha 12 anni. Dovessi decidere io, non é nemmeno un modello, i modelli a prescindere dalla mia scarsa autorità in fatto di uomini non scendono a Famagosta.
Sole tiepido, 7.15. Un airone dorme in mezzo ad un campo, la testa reclinata sotto l'ala, e io respiro.

martedì 12 giugno 2012

SLEEPLESS

17.43 scrivo per non addormentarmi. E conseguentemente morire.
Il primo effetto della deprivazione di sonno, su di me, é l'aciditá di stomaco. Il secondo, la tachicardia.
Magari anche su qualunque altro umano insonne, ma non ho prove a sufficienza.
Cadorna, distanza dal letto ancora elevata. E quasi certezza che non ci appoggeró la testa prima di un'imprecisata ora della notte.
Se avessi messo la sveglia alle 10 e fossi entrato in ritardo avrei reso comunque di più della misera performance odierna. Colpa del fascino romantico di entrare in ufficio alle sette.
Garibaldi, ho seduta di fianco un'anziana che profuma di sapone da bucato a mano. Un duo chitarra fisarmonica sta tentando di farmi morire; appena hanno attaccato, mi si é imbizzarrita la tachicardia.
Terzo effetto, fotofobia ed audiofobia, ammesso esista.
Caiazzo, posso farcela. Se mi dimentico della riunione di condominio.
Potrebbe finire a notte fonda, e la mia parte é in fondo all'ordine del giorno.
Dicevo, se mi dimentico, sopravvivo. Quindi rimuoviamo e andiamo a casa.

IN THE RAIN

7.10 Centrale. Condizioni gravi ma in miglioramento. Alcune sottostazioni stanno ancora approfittando delle superfici di pelle esposte direttamente all'aria per smaltire il sovraccarico di temperatura sviluppato.
Insomma, sudo. Mentre spero che la gentil pulzella che mi ha ceduto il posto della sua borsa non abbia di che pentirsi.
Garibaldi. Sono quasi a regime. Certo i pantaloni sono in alcuni punti appiccicati alle cosce, ma i piedi per esempio sono asciutti e caldi.
Odio gli ombrelli, la cosa é semplice. Il pensiero di averne uno che gocciola in ogni direzione, impossibile da appoggiare, un tormento se non si trova posto a sedere. Per non parlare di quello che ho in ufficio.
Cadorna, terza stazione.
Insomma, ho fatto i miei calcoli, valutato i palazzi con balconi e balconate di Vallazze Ampere e Pacini e ho deciso, molto garibaldinamente, che un kway fosse sufficiente.
Non é andata male. Devo solo allenare di più il fiato, qualche corsetta in più anziché insistere sulla muscolatura, che tanto, col suo sorrisino indolente, insiste nel non volermi dare soddisfazioni.
Porta Genova. Un po' dopo, a dirla tutta.
Considerando che mi resta una decina di passi dalla stazione al "porticato"
dell'edificio u7, e che al ritorno avrò, se proprio serve, l'ombrello lasciato in ufficio l'ultima pioggia fa, alle sette avevo già preso tutta la pioggia della giornata o quasi. Spalmata su tutta la giornata, non male.
A Famagosta non piove, anzi, verso sud fa capolino del cielo azzurro. I campi travestiti da risaie ringraziano e sperano. Io mi preparo ai dieci passi.

lunedì 11 giugno 2012

CARLA SECONDA


7.07 tre giorni, forse qualcosa di più. Sono abbastanza sicuro di aver scritto.. non giovedì, forse mercoledì mattina. Per circostanziare il mio concetto di sicurezza.
So di aver provato a scrivere di questo, ora che ho fatto bene i calcoli, mercoledì pomeriggio, sul treno per Como.
Senza successo; ho interrotto il tentativo dopo poco e non é mai stato pubblicato.
Non mi sento molto più pronto nemmeno ora. Forse è il luogo, la gente. Forse il mezzo. Avrei bisogno di un foglio di carta e di una matita, una scrivania e una lampada.
Forse invece ho solo bisogno di tempo per parlare di nonna Carla. Di questo mese che termina oggi pomeriggio a Surlej.
Non é facile parlare di nonna Carla mentre lo snodo del treno miagola, e la gente va e viene portandosi dietro profumo di brioche calde.
Aveva gli occhi azzurri, quasi grigi, profondi ed affettuosi, uno sguardo deciso e curioso, che non ha mai perso. Anche l'ultima volta che l'ho vista, all'hospice, i suoi grandi occhi, resi giganti dal rimpicciolirsi di tutto il resto, erano la sua bandiera, la sua dichiarazione di guerra. Tutti i suoi generali l'avevano già abbandonata, ma Carla non aveva nessuna voglia di alzare bandiera bianca.
Carla non aveva nessuna voglia di andare via. Perché avrebbe dovuto? Se sei vivo, e non per lo squallido fatto biologico, per le decorazioni e le divise impolverate dei tuoi reni, del fegato, del generale cuore, perché dovresti voler andare via?
Carla aveva sempre vasche di gelato, e domande interessate sui nostri progressi a golf, e un sorriso e una mano agitata dall'ingresso di casa sua al secondo piano quando tornavamo a Milano. Carla, nonna Carla, la nonna di Pepper, ma come fosse anche mia, aveva avventure sulla neve da raccontare, aperitivi improvvisati per le nostre improvvisate visite. Nonna Carla aveva una casa che era il riflesso del suo genio. Metteva cartelli vicino alle cacche di cane che le domestiche delle ricche di Monticello non raccoglievano.
Nonna Carla mi ha regalato il Bacardi Mojito, che non conoscevo, i nostri piatti arancioni.
Carla mi ha regalato un dolore che fatico a trattenere, mentre il treno é uscito al sole.
Non ho fatto in tempo a giocare a golf con lei, non pensavo di averne così poco a disposizione.
Fosse questo il solo rimpianto, ci metterei la firma.

mercoledì 6 giugno 2012

SOGNI


8.03 stanotte ho sognato di sopravvivere ad un incidente aereo. Ad un'esplosione in volo per l'esattezza. Iniziata, per quello che mi ricordo, come una ricostruzione, televisiva direi, nella quale però mi sono trovato ad interpretare un uomo di mezza età calvo e con la barba. Mi sono trovato sull'aereo a pochi secondo dall'esplosione, ho sentito il calore, visto le fiamme e pensato "ecco ora dovrei morire".
Sopravvissuto, mi sono trovato in volo, proiettato dallo scoppio verso terra e ho di nuovo valutato che le ferite e lo spavento avrebbero dovuto uccidermi. Ancora in vita, ho poi confidato nell'impatto a terra, ma ancora niente; in effetti nel documentario era stato fatta vedere una foto satellitare con l'esatta indicazione del luogo in cui era stato ritrovato il mio corpo, ed era una sorta di lago in mezzo alle piante, la mia sagoma adagiata su un tronco semigalleggiante vicino alla riva.
Trovandomi in mezzo all'acqua, incapace di muovere braccia e gambe, ho puntato sull'annegamento e successiva deriva. Niente da fare: una donna in tailleur, un'altra sopravvissuta - ma si può sopravvivere ad un'esplosione in volo, dico io? In due addirittura? - mi si avvicina nuotando, e mi accompagna proprio al tronco della ricostruzione. Provo dolore, e tanto, é tempo e ora che io muoia: il posto è questo, sono spossato, e l'incubo di sopravvivere, sfigurato e non più autosufficiente, si sta facendo concreto. Certo, la trasmissione parlava di corpo, ma poteva essere un corpo vivo.
Cambio di inquadratura - avrò avuto il diritto non dico di morire, ma almeno di svenire, dopo l'incidente, centinaia di metri proiettato in volo, l'impatto in acqua e le ferite riportate? - e sono in ospedale, vivo e capace di camminare, ma i medici, voci fuori campo, dicono che non é da escludere il danno spinale e la paralisi, e soprattutto quello che li preoccupa é la macrocefalia: pare che l'impatto abbia tumefatto la mia testa raddoppiandone le dimensioni.
L'incubo si fa realtà: archiviata la fiction, quello in ospedale sono io, e sono un mostro destinato a non potersi più muovere nell'arco di poco tempo.
Ecco, ora dovrei morire, penso. O quantomeno svegliarmi. Cosa che faccio.
Ora dovrei tornare in metropolitana, cosa che faccio appena in tempo per sbucare a Famagosta.
Vado a caccia di fagiani ed aironi glam.