mercoledì 27 giugno 2012

A LEONE WERTH


7.52 dei treni forno ho già detto. Aggiungo solo che anche oggi non mi é andata meglio di ieri, anzi, l'ora tarda, forzata dall'inconvincibilità del mio corpo ad iniziare la giornata, mi ha regalato un sacco di compagni di viaggio in più. Con le conseguenze facilmente intuibili.
Una ragazza coi capelli raccolti in cima al lungo collo inizia in questo momento a leggere il piccolo principe. Ai piedi ha Superga di tela bianche, e sta per iniziare un viaggio.
Vorrei la sua innocenza, vorrei affrontare la prima pagina, quella del boa che sta per mangiare l'orso, senza sapere nulla di quello che mi aspetta dopo.
Dalla mia posizione vedo (vedevo, si è spostata) le pagine appena oltre la sua guancia intenta. La sua vita sta per cambiare, lei nemmeno lo sa. Non sa che si innamorerà con quel libro, che lo rileggerà altre volte a distanza di anni. Che lo leggerà ai suoi bambini, come hanno fatto i miei genitori.
E' scesa a Garibaldi, in cambio di un'infornata di corpi e calore e respiri e occhi e braccia. A quest'ora starà leggendo, magari in strada, camminando, dell'astronomo col fez che ha scoperto l'asteroide.
Quando leggerà "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale é invisibile agli occhi." forse avrà le lacrime agli occhi (io in questo momento le ho).
Non lo ha ancora letto, non può certo sapere che, crescendo, potrebbe addirittura arrivare un momento in cui quelle parole saranno appassite, private del loro senso e del loro spazio nella vita, dalla vita stessa.
Dalla casa.
Dal lavoro.
Dal preparare la cena.
Dal pensare a come sfruttare il weekend.
Come dire o scrivere.
Come uscire da certi angoli.
Potrebbe leggere e chiedersi cosa significhi vedere col cuore, se sia un privilegio dell'età non adulta.
Pensare che é facile scrivere un libro così bello se poi si muore giovani, volando su un monoposto, essendo vissuti quando i Valori e le Virtù erano bianchi, il Male nero, le Scelte esistenziali.
Vorrei passare dai dieci ai trenta per non subire questa tortura. No, Lorenzo. Dopo inizia la tortura.
Dai dieci ai trenta si prende in mano un libro, una mattina, andando a ripetizioni di latino, la metropolitana che é un forno, gente attorno, che scrive frenetica sui blackberry mentre cerca un posto per il borsone della palestra. Lo si apre. A Leone Werth.
E si va via.

martedì 26 giugno 2012

DESTINO


7.25 vederlo arrivare e sapere alla prima occhiata che cosa ti aspetta. A partire da quel muso sporco, l'andatura lenta, il vecchio indicatore di direzione, non elettronico e con la luce fulminata.
E poi i vagoni, già il primo, pieni. Altra gente in banchina, come te, ha capito, si guarda attorno, rassegnata all'inevitabile.
Sali e ti accoglie una famiglia di slavi piena di bambini che con cura coprono il campionario dai sette anni in giù, ti guardi intorno. Sui volti della gente una specie di concentrazione muta, quella che a breve dovresti tentare anche tu invece che scrivere. Il silenzio immobile che cerca di rallentare il formarsi di gocce di sudore sulla fronte.
Un uomo sulla quarantina, calvo e muscoloso, sembra rannicchiato nella polo verde, nel tentativo forse di concentrare le sue energie vitali in un ipotetico centro del suo vasto petto. La ragazza al suo fianco, maglia azzurra e carni rosa in abbondanza, sembra davvero dormire. Forse ha perso i sensi.
Una donna dal netto profilo maya mastica una cicca e getta attorno occhiate oblique. Nessuno che parli.
Si respira col naso, ultimo baluardo di dignità prima di iniziare a sbanfare come labrador portati a spasso.
Un braccio orrendamente magro, poco più che le ossa, si protende, teso, da una canotta gialla verso il corrimano.
Cadorna, seduto, lo schienale caldo della sofferenza di chi ti ha preceduto.
Devo tornare alla sveglia delle sei. Stamattina fuori l'aria era mite, venticinque gradi diceva la meteosfera di casa. Quello che manda in bestia é che stiano facendo la linea cinque mentre ancora fanno girare questi reperti archeologici ferrati.
Evitiamo le polemiche, mettono caldo.
La prossima credo sia Romolo, lo é. Non che ne venga grande conforto.
Si fa largo un pensiero privo di senso, ma per ora abbastanza avvalorato dai fatti. Il caso esiste, lo ha dimostrato anche Cerved.
Flash di Porto Pollo: l'ultima curva dello sterrato prima del parcheggio, con le derive sulla sinistra che già mostrano gli alberi tintinnanti di drizze.
Famagosta, cielo da pioggia.
Ieri Bowie non si é visto, oggi sono sul lato sbagliato del treno, e il solito writer imbecille mi ha anche accecato il finestrino.
Niente dose stamattina, si va in ufficio a rota.

giovedì 21 giugno 2012

AL VOLO


6.50 certe idee nascono nello spazio di attimi ed altrettanto tempo hanno per essere realizzate. Scendi in metropolitana, sai che per Assago passa il 6.55 e quindi quello che arriva non è il tuo, ma il 6.49 per Abbiategrasso.
Lo guardi comunque arrivare e vedi che si tratta di uno di quei treni di ultima generazione, tutto vetri, scuro e lucente, difficilmente apparentabile con le carrette anni Sessanta che ancora girano.
Lo guardi al di là dell'apparenza esteriore, e ti tornano in mente certi viaggi ad aprile e maggio in cui la sua aria condizionata selvaggia ti ha costretto a mettere un golf.
Mentre stai già accelerando il passo hai anche tempo di pensare che, soprattutto a quest'ora, ad Abbiategrasso mandano i treni nuovi, ad Assago i vecchi forni in cui l'aria condizionata serve solo ad aggiungere rumore agli strepiti di galleria che entrano dai finestrini inutilmente abbassati.
A quel punto sei già dentro.
Devi solo ricordarti di scendere a Famagosta.
Se ci riesci, il piano é perfetto: 22 gradi, sedili comodi, finestrini chiusi - non apribili, per l'esattezza - quasi silenzioso a parte la signorina delle fermate, e gli uggioli di una maltese coi codini che cerca di far capire alla padrona che non ama viaggiare in metropolitana.
Due fermate.
Una. Ottima idea.

mercoledì 20 giugno 2012

AFA


6.44 incastonato tra due due ispanici generici di sessi opposti ma simile corporatura, senza nulla che somigli a dell'aria condizionata, a troppe fermate dalla mia, in un treno che come ieri viaggia all'inferno.
Anzi, all'inferno il caldo é secco, se il diavolo non ha inventato le fiamme umide.
De Andrè cerca di darmi conforto, stamattina dall'auricolare sinistro, ma ho l'impressione che sia persino peggiorato lo sbilanciamento sinistra/destra.
Nemmeno questo spazio è più mio. Nessuno spazio scritto lo é mai del tutto.
L'unico effetto dei finestrini aperti è di portare dentro rumori tali da coprire anche i Pearl Jam. Qualche refolo.
Megu Megun, nella lontananza degli auricolari.
L'ispanico più grosso, che forse é arabo, di sicuro era grosso, mi lascia il suo posto. Angolo, contro il fondo del vagone. Appiccicaticcio, del mio dopo il suo sudore.
A Lanza carichiamo calore, in assenza di passeggeri. Dopo quasi un minuto dovrebbe essere abbastanza.
Possibile non sia venuto in mente ancora a nessuno di convogliare l'aria delle gallerie, che immagino fresca e al peggio poco profumata, ma di sicuro pulita, dentro questi forni maledetti? Coi finestrini mi sembra evidente non sia possibile.
Eliana Monti. Sulle note di Come Back, suggerisce di riscrivere la nostra storia e cambiare la nostra vita. Una specie di esame della vista e capisco sia un'agenzia, più che un sito, di incontri. Eliana Monti club. Otto coppie uscite da altrettante pubblicità Pantene descrivono le loro esperienze in un carattere per cui mi occorrerebbe una correzione di lenti che non ho. Occhi che non ho.
Norah Jones. Quando la sua voce affettatamente dolce compare nella playlist, ogni volta, mi prometto di sistemare. La playlist. Iniziando con togliere lei ed un altro paio di scelte discutibili. Continuando con un occhio alla varietà. Jeff Buckley, ancora.
Famagosta, siamo rimasti in dieci: partitella?

martedì 19 giugno 2012

PLUGGED

6.55 preciso come un treno. Di cui d'altro canto é almeno cugino. Proprio mentre inizia la nenia di Nude. Radiohead.
Indiscutibilmente spostata a destra. Tom Waits ha avuto il compito di tester ed il responso é indiscutibile: non erano gli auricolari, non solo loro almeno.
Insomma ho aggiunto la colonna sonora ai miei viaggi, ma pende da una parte.
Meraviglia, l'estate. Rende creativi. Centrale. Punto, di Jovanotti.
L'età influisce anche sulla tecnologia di Jobs. Prima ha smesso di funzionare il sensore delle scarpe da corsa.
Punto é una bossanova, per quel che ne so.
Una donna in bianco lino con lo chignon tiratissimo scende a Garibaldi, a quest'ora una fermata come un'altra.
Severed Hand, Pearl Jam. L'indicatore di batteria mi dice che al ritorno dovrò cercarmi altra compagnia, intanto alzo il volume. Il rimpianto di aver assistito ad un loro concerto dagli spalti, con la possibilità di sedermi tra un brano e l'altro mentre nel parterre la gente surfava é ormai ratificato nella pietra del tempo. li ho persi da troppi album.
Cadorna, a quest'ora i treni volano. Ieri, complice la nuova droga di clever driver, sono arrivato ad Assago in sogno.
Pretty Piece of Flesh, é dance. Se ci ho messo un anno a riattivare la musica, forse sistemerò la playlist come regalo per i quarant'anni. Intanto capiteranno gli One Inch Punch.
Un approssimato settantenne salito non so quando indossa un cappello grigio a righe con fascia dai riflessi metallizzati. Coordinata con la camicia a quadri e maniche corte, ma somiglia comunque alla paccottiglia che gli indiani di Corso Como cercano di piazzare agli ubriachi bene.
Tom Waits fa del suo meglio per cantare Rosie sopra l'ululato della galleria di Romolo. Ottimo nel silenzio di via Ampere addormentata, ora perde molto.
Famagosta, rimaniamo in dieci o poco più. Dei quali uno, il ragazzo arabo nell'angolo vicino a me, nemmeno tanto convinto di voler andare ad Assago. A meno che non sia un posto buono dove dormire.
Spetta a Jeff Buckley musicare la tratta esterna, verde di germogli. Cerco Bowie, non trovo nemmeno un piccione. Corpus Christi Carol non ce la fa, troppo rumore, cede il posto. La casa di carte dei Radiohead mi porta alla timbratrice.

giovedì 14 giugno 2012

SENZA MUSICA

7.23 il primo tentativo di inserire una colonna sonora nei miei viaggi è stato affossato dall'auricolare destro, o sinistro dato che sono uguali, di norma. La differenza é stata nel funzionamento. Sentire solo metà di the gloaming attraversando il mercato é stato sufficiente a convincermi.
Musicastelle outdoor. Incrocio di sguardi fugace tra me ed un cartellone di Moscova - non sono sul tjv, ho semplicemente iniziato a scrivere a Gioia.
Riusciró a ricordarmi di guardare cosa sia? Intanto, vado a finire Soffocare. Musicastelle outdoor. Musicastelle outdoor. Posso farcela, io sono più forte del mio cervello distratto.

mercoledì 13 giugno 2012

ALBA

6.54 uscire di casa alle sei e mezza di mattina. Una Milano di cinguettii ed aria limpida. Negozi chiusi e bar dalle serrande assonnate che sbadigliano. Rare automobili, un silenzio naturale. Pensiero di corse mattutine.
10 minuti di attesa in Piola, e la scoperta che prima delle sette ad Assago ci si va ogni dodici minuti, ed il 6.42 deve essere passato da pochi minuti.
Una trentenne di colore prossima alla sfericità mi fa pensare, con pura curiosità asessuata, all'aspetto dei grandi obesi da nudi. la fermata di Garibaldi mi salva da questo burroso pensiero, portando stupore per la velocità del viaggio.
Risalgo con lo sguardo il proprietario di lucidissime scarpe marroni di cuoio e trovo un uomo in camicia bracalona a maniche corte e cappellino da baseball, il mio vicino manda odore di sudore e pagine di giornale umide.
Miss Sfera é scesa a Lanza, stiamo volando al lavoro.
Anche Cadorna sonnecchia, sale un gruppetto di pendolari mattinieri.
Sbadiglio.
Devo evitare il bis di ieri, e mettermi a testa bassa.
Schiocco il ginocchio.
Due volte.
S. Agostino, scriverlo Sant' é una personale invenzione. Ero convinto che.
Flash sulla cappelletta del Barcelo, e sulla sua cugina in riva all'Elba.
Romolo.
Un ragazzo scarpa bianca da vela indossa jeans ampiamente sopra il ginocchio. E no, non ha 12 anni. Dovessi decidere io, non é nemmeno un modello, i modelli a prescindere dalla mia scarsa autorità in fatto di uomini non scendono a Famagosta.
Sole tiepido, 7.15. Un airone dorme in mezzo ad un campo, la testa reclinata sotto l'ala, e io respiro.

martedì 12 giugno 2012

SLEEPLESS

17.43 scrivo per non addormentarmi. E conseguentemente morire.
Il primo effetto della deprivazione di sonno, su di me, é l'aciditá di stomaco. Il secondo, la tachicardia.
Magari anche su qualunque altro umano insonne, ma non ho prove a sufficienza.
Cadorna, distanza dal letto ancora elevata. E quasi certezza che non ci appoggeró la testa prima di un'imprecisata ora della notte.
Se avessi messo la sveglia alle 10 e fossi entrato in ritardo avrei reso comunque di più della misera performance odierna. Colpa del fascino romantico di entrare in ufficio alle sette.
Garibaldi, ho seduta di fianco un'anziana che profuma di sapone da bucato a mano. Un duo chitarra fisarmonica sta tentando di farmi morire; appena hanno attaccato, mi si é imbizzarrita la tachicardia.
Terzo effetto, fotofobia ed audiofobia, ammesso esista.
Caiazzo, posso farcela. Se mi dimentico della riunione di condominio.
Potrebbe finire a notte fonda, e la mia parte é in fondo all'ordine del giorno.
Dicevo, se mi dimentico, sopravvivo. Quindi rimuoviamo e andiamo a casa.

IN THE RAIN

7.10 Centrale. Condizioni gravi ma in miglioramento. Alcune sottostazioni stanno ancora approfittando delle superfici di pelle esposte direttamente all'aria per smaltire il sovraccarico di temperatura sviluppato.
Insomma, sudo. Mentre spero che la gentil pulzella che mi ha ceduto il posto della sua borsa non abbia di che pentirsi.
Garibaldi. Sono quasi a regime. Certo i pantaloni sono in alcuni punti appiccicati alle cosce, ma i piedi per esempio sono asciutti e caldi.
Odio gli ombrelli, la cosa é semplice. Il pensiero di averne uno che gocciola in ogni direzione, impossibile da appoggiare, un tormento se non si trova posto a sedere. Per non parlare di quello che ho in ufficio.
Cadorna, terza stazione.
Insomma, ho fatto i miei calcoli, valutato i palazzi con balconi e balconate di Vallazze Ampere e Pacini e ho deciso, molto garibaldinamente, che un kway fosse sufficiente.
Non é andata male. Devo solo allenare di più il fiato, qualche corsetta in più anziché insistere sulla muscolatura, che tanto, col suo sorrisino indolente, insiste nel non volermi dare soddisfazioni.
Porta Genova. Un po' dopo, a dirla tutta.
Considerando che mi resta una decina di passi dalla stazione al "porticato"
dell'edificio u7, e che al ritorno avrò, se proprio serve, l'ombrello lasciato in ufficio l'ultima pioggia fa, alle sette avevo già preso tutta la pioggia della giornata o quasi. Spalmata su tutta la giornata, non male.
A Famagosta non piove, anzi, verso sud fa capolino del cielo azzurro. I campi travestiti da risaie ringraziano e sperano. Io mi preparo ai dieci passi.

lunedì 11 giugno 2012

CARLA SECONDA


7.07 tre giorni, forse qualcosa di più. Sono abbastanza sicuro di aver scritto.. non giovedì, forse mercoledì mattina. Per circostanziare il mio concetto di sicurezza.
So di aver provato a scrivere di questo, ora che ho fatto bene i calcoli, mercoledì pomeriggio, sul treno per Como.
Senza successo; ho interrotto il tentativo dopo poco e non é mai stato pubblicato.
Non mi sento molto più pronto nemmeno ora. Forse è il luogo, la gente. Forse il mezzo. Avrei bisogno di un foglio di carta e di una matita, una scrivania e una lampada.
Forse invece ho solo bisogno di tempo per parlare di nonna Carla. Di questo mese che termina oggi pomeriggio a Surlej.
Non é facile parlare di nonna Carla mentre lo snodo del treno miagola, e la gente va e viene portandosi dietro profumo di brioche calde.
Aveva gli occhi azzurri, quasi grigi, profondi ed affettuosi, uno sguardo deciso e curioso, che non ha mai perso. Anche l'ultima volta che l'ho vista, all'hospice, i suoi grandi occhi, resi giganti dal rimpicciolirsi di tutto il resto, erano la sua bandiera, la sua dichiarazione di guerra. Tutti i suoi generali l'avevano già abbandonata, ma Carla non aveva nessuna voglia di alzare bandiera bianca.
Carla non aveva nessuna voglia di andare via. Perché avrebbe dovuto? Se sei vivo, e non per lo squallido fatto biologico, per le decorazioni e le divise impolverate dei tuoi reni, del fegato, del generale cuore, perché dovresti voler andare via?
Carla aveva sempre vasche di gelato, e domande interessate sui nostri progressi a golf, e un sorriso e una mano agitata dall'ingresso di casa sua al secondo piano quando tornavamo a Milano. Carla, nonna Carla, la nonna di Pepper, ma come fosse anche mia, aveva avventure sulla neve da raccontare, aperitivi improvvisati per le nostre improvvisate visite. Nonna Carla aveva una casa che era il riflesso del suo genio. Metteva cartelli vicino alle cacche di cane che le domestiche delle ricche di Monticello non raccoglievano.
Nonna Carla mi ha regalato il Bacardi Mojito, che non conoscevo, i nostri piatti arancioni.
Carla mi ha regalato un dolore che fatico a trattenere, mentre il treno é uscito al sole.
Non ho fatto in tempo a giocare a golf con lei, non pensavo di averne così poco a disposizione.
Fosse questo il solo rimpianto, ci metterei la firma.

mercoledì 6 giugno 2012

SOGNI


8.03 stanotte ho sognato di sopravvivere ad un incidente aereo. Ad un'esplosione in volo per l'esattezza. Iniziata, per quello che mi ricordo, come una ricostruzione, televisiva direi, nella quale però mi sono trovato ad interpretare un uomo di mezza età calvo e con la barba. Mi sono trovato sull'aereo a pochi secondo dall'esplosione, ho sentito il calore, visto le fiamme e pensato "ecco ora dovrei morire".
Sopravvissuto, mi sono trovato in volo, proiettato dallo scoppio verso terra e ho di nuovo valutato che le ferite e lo spavento avrebbero dovuto uccidermi. Ancora in vita, ho poi confidato nell'impatto a terra, ma ancora niente; in effetti nel documentario era stato fatta vedere una foto satellitare con l'esatta indicazione del luogo in cui era stato ritrovato il mio corpo, ed era una sorta di lago in mezzo alle piante, la mia sagoma adagiata su un tronco semigalleggiante vicino alla riva.
Trovandomi in mezzo all'acqua, incapace di muovere braccia e gambe, ho puntato sull'annegamento e successiva deriva. Niente da fare: una donna in tailleur, un'altra sopravvissuta - ma si può sopravvivere ad un'esplosione in volo, dico io? In due addirittura? - mi si avvicina nuotando, e mi accompagna proprio al tronco della ricostruzione. Provo dolore, e tanto, é tempo e ora che io muoia: il posto è questo, sono spossato, e l'incubo di sopravvivere, sfigurato e non più autosufficiente, si sta facendo concreto. Certo, la trasmissione parlava di corpo, ma poteva essere un corpo vivo.
Cambio di inquadratura - avrò avuto il diritto non dico di morire, ma almeno di svenire, dopo l'incidente, centinaia di metri proiettato in volo, l'impatto in acqua e le ferite riportate? - e sono in ospedale, vivo e capace di camminare, ma i medici, voci fuori campo, dicono che non é da escludere il danno spinale e la paralisi, e soprattutto quello che li preoccupa é la macrocefalia: pare che l'impatto abbia tumefatto la mia testa raddoppiandone le dimensioni.
L'incubo si fa realtà: archiviata la fiction, quello in ospedale sono io, e sono un mostro destinato a non potersi più muovere nell'arco di poco tempo.
Ecco, ora dovrei morire, penso. O quantomeno svegliarmi. Cosa che faccio.
Ora dovrei tornare in metropolitana, cosa che faccio appena in tempo per sbucare a Famagosta.
Vado a caccia di fagiani ed aironi glam.

martedì 5 giugno 2012

PRIORITA'


7.37 la tratta Piola-Gioia stamattina non é andata in onda per motivi tecnici. Mancavano tre stelline. Questione di priorità. Ne mancavano tre anche ieri sera, d'altra parte.
Quando si cercano le tre stelline il tempo vola, sembrano pochi minuti ed é già Garibaldi, o mezzanotte e mezza. Ricordano, le tre stelline, i signori grigi di Momo.
Piola, sto asciugando i capelli con l'aria condizionata del treno. Ieri che saturavamo l'aria, era spenta. Oggi il vagone é ciarliero ed abitabile. Seduto davanti a me un uomo dalle braccia e mani massicce, con lo sguardo triste dietro gli occhiali. Manca qualcosa, qualcuno.
Mancano gli studenti, fatta eccezione per una coppia di filippini, che potrebbero però essere semplicemente bassi, e comunque sono scesi a sant'Ambrogio. Tutti impiegati o quasi. Una bambina indiana, forse in fondo al vagone qualcun altro ancora non finito sotto il giogo del lavoro.
Mi è sfuggita Cadorna, ci é sfuggita. Non ho registrato movimenti massicci di popolazione.
Un ragazzo in piedi ha l'acqua in casa, dieci centimetri buoni che lasciano il campo a calzini grigi di spugna.
Alla mia destra, sandali alla schiava con dentro piedi dall'alluce cortissimo: non arriva all'altezza dell'anulare.
La bambina indiana é scesa con la mamma, una donna molto più europea della bimba, a Famagosta.
Io mi preparo ai fagiani. Almeno tre, ieri, e un airone cinerino dal lungo ciuffo da cantante glam, un David Bowie delle risaie. Mi metto proprio in piedi per vederli, poi vi racconto.
Niente, non è ancora ora di colazione per la fauna del sud milano, oggi niente scorta di vita agreste sotto i neon di Assago Milanofiori Nordi, via del Bosco Rinnovato. Leggi raso a suolo e cementificato.

lunedì 4 giugno 2012

ACQUA


8.10 gioia, treno finalmente vivibile.
A Piola, per salire, ho tentato in almeno 4 diverse porte. Effetto pioggia, immagino. Tutti i motorini sono diventati inutili, e io ho dovuto incastonarmi.
Garibaldi, perdo in abitabilità, ma neanche tanto. Il grosso arrivava da lambrate e scendeva a centrale. Col biglietto urbano questa tratta si può fare in treno, la cosa andrebbe pubblicizzata.
Mentre cercavo di arginare l'allergia, stamattina particolarmente vivace ed intraprendente, lo sguardo mi é caduto sugli appunti di una ricciolina con le adidas di tela bianche - un genio, con la pioggia di stamattina: sembrano stampati, oltre ad essere scritti su un quaderno a righe coi bordi viola da scuole medie. Vuol dire che, superiori od università che faccia, li ha trascritti in bella copia. Io mi reputavo sovrapreparato frequantando il 70% delle lezioni ed avendo scarabocchiato appunti di una maggioranza qualificata di almeno un libro di testo.
Cadorna non ha liberato posti a sedere, sant'Ambrogio nemmeno. Eventi insoliti, cercherò posto per l'ultima tratta, giusto per dire di essermi seduto.
Intanto, ci rechiamo a porta Genova a passo d'uomo. Lo stomaco ha da ridire, due giorni senza metropolitana e già ho perso l'abitudine a scrivere viaggiando.
Ho la testa piena di orde di preoccupazioni, pensieri barbari di ogni forma ed etnia che mi assediano da ogni parte. Passa poco nei miei appunti elettronici, ma ci sono momenti, lontano da queste note, in cui la testa cerca disperatamente un'uscita, come in un incubo vigile. non intendo scriverne oggi, non so nemmeno perché ne ho parlato, forse perché uno di quei momenti é passato fuori orario tra romolo e famagosta.
Procediamo a rilento da 4 fermate, e per confermare che il campione di oggi é totalmente fuori media, la gente che era seduta da Lambrate sta tutta andando ad Assago, salvo sporadici passeggeri i cui posti sono stati occupati in pochi istanti.
Finalmente fuori, il sud ovest dà speranze di bel tempo.
Un'ipotesi medica totalmente inventata nel dormiveglia ieri sera, ma è talmente campata in aria che ero più nel dormi che nel veglia. Mi accompagna ancora adesso, cercheró di annegarla nelle email, o nel caffé. Riparto.