venerdì 28 settembre 2012

SOTTOFONDO

8.20 Caiazzo sfila dai finestrini. Finalmente venerdì.
Per quanto faccia, e non faccio gran che, continuo ad avere un velo davanti agli occhi. Soprattutto la mattina. Un filtro con cui coloro tutte le persone.
Dal papà con figli e passeggino che imita sommesso il verso della rana, alla quarantenne stivalata che smanaccia l'ipad di fronte a me, alla sconosciuta che ho seduta a fianco, di cui so solo le scarpe da ginnastica bianche.
Vedo tutti incastrati in una vita imperfetta. Seduti in un posto assegnato senza chiedere il loro parere. Vedo vite che vorrebbero essere non diverse, ma altre da quello che sono. Orari, lavori, quartieri e case. Tutto imposto da fuori, al meglio scelto con un'alzata di spalle.
Beh, un buon impiego, dopotutto. Pagato abbastanza.
Beh una casa non male. Certo, il giardino... Ma con questi prezzi.
Beh, un quartiere decoroso, una città piena di cose da fare. Una città sicura, comunque.
Certo, vedere il cielo é un'altra cosa. L'alba e il tramonto, belli, ma con la poesia mica si vive. Certo, non metto in discussione il potere delle cose che ho, la dittatura delle cose che mi hanno detto che devo raggiungere ed avere. Non mi chiedo se davvero ho bisogno di alzarmi all'alba per lavorare per avere soldi per comprare. Perdere il bello per avere il necessario. Un necessario stabilito da altri. O forse da nessuno.
Accettato da tutti come normale. Come é normale quel filo sottile di tristezza, l'occhio che cerca l'orizzonte tra i palazzi.
Assago, ascensore, scrivania. Sono andato molto lungo. Fine della corsa.

mercoledì 26 settembre 2012

PROVA 1 2 3

8.33 moscova. Full touch. Già l'ora avrebbe dovuto essere 8.32 ma per un minuto ho lasciato andare.
Il problema piuttosto é nell'assenza di corpo dei tasti.
Cadorna, la banchina opposta in un'occhiata mi hq fatto capire a chi si riferisse la voce scocciata che invitava a non insistere nel voler salire. Non ai miei, anche se il treno é più affollato del solito per essere in Sant'Ambrogio.
Correggo in diretta perché so che sono indolente in post produzione e per forza la cosa rallenta. Devo però ammettere che é meno peggio di quanto temessi, diciamo che ci si può lavorare.
Stamattina guardo le persone nella loro dimensione di forzati alla vita.
Non mi sono espresso al meglio, me ne rendo conto. La ragazza seduta davanti a me, me ne accorgo solo ora per via degli auricolari, sta leggendo un romanzo ad alta voce. Con la serenità di chi fa una cosa del tutto normale, anche se ha smesso appena usciti dalla galleria.
In mezzo al riso ormai alto di Bowie non c'é traccia. Migrano, gli aironi?

giovedì 20 settembre 2012

POSSIBILI PROBLEMI TECNICI

19.35 stazione in arrivo Santagostino. Una fisarmonica dai tasti consunti ci allieta il viaggio al crepuscolo.
Entrando in galleria il cielo rifletteva ancora gli ultimi raggi di sole, a Piola prevedo il buio delle sere autunnali.
Il ragazzo con la fisarmonica non è sceso per cambiare vagone, visto da qui sembra quasi che abbia rinunciato all'elemosina e ora suoni per sè. Si guarda le dita e tenta virtuosismi, dopo una giornata intera a caritare.
Cadorna, non é salito quasi nessuno.
Mi toglieranno il blackberry, il fatto é questo. Già domani in teoria, ma spero di guadagnarmi qualche giorno per traslocare. Sí, da uno smartphone si trasloca tanto quanto da un ufficio.
Non mi voglio tediare con le questioni filosofiche e teoriche, ampiamente sviscerate nel periodo non narrato.
Senza bberry le metronote sono a rischio estinzione. Carta e penna non tradiscono. Possono entrambe finire, ma il giorno dopo si ricomperano.
Non resto senza cellulare, nemmeno senza smartphone. Senza tastiera fisica, sic. Non é lana caprina, per niente. Il peso dei tasti, la resistenza alla pressione delle dita, per scrivere qualcosa di più consistente di haiku a 160 caratteri, sono caratteristiche essenziali.
Resto con un full touch. Problemi da scrittore contemporaneo. Da blogger metropolitano.
Posso provare, ma so già che andrà in puzza. Obiettivamente le mie dita non sono da full touch. Ho avuto il mio primo cellulare a 19 anni, secondo anno di università. Un telital verde grosso come un astuccio scolastico. Se ricordo bene, con l'antenna estraibile.
Non solo, attorno ai quattordici anni ho scritto anche lettere. Di carta. A mano. Spedite con l'indirizzo sulla busta e il francobollo.
Il T9 mi ha lasciato a bocca aperta la prima volta che l'ho visto in azione. Ho avuto un modem 56k. E scaricato, mettendoci anche del bel tempo, dei .wav da internet.
Ho scritto i miei primi appunti di viaggio con una penna a sfera su un blocco note. Scrivere le metronote in full touch é fuori discussione.

SEGNI DI VITA

8.01 ho fatto due conti, e se non li ho sbagliati questo é il quarto post da quando sono tornato dalle ferie. Poco più del decimo tra agosto e settembre.
Non che ci sia obbligo di frequenza, ma si potrebbe leggere un declino. Il solito, si potrebbe malignare. Entusiasmi allo zolfo che in una fiammata lasciano poco più che cenere.
A guardare bene, peró, posso solo darmi atto di una più che discreta frequenza. Ammetto solo di non fare più sia le andate che i ritorni. Di non fare da un bel po' i ritorni.
Quello che succede è piuttosto che sto usando spesso l'auto, ma quando viaggio in treno raramente lascio perdere il viaggio.
Oggi é un caso a sè. Stiamo viaggiando verso Moscova e ho bruciato metà viaggio a raccontarmi quello che già sapevo, ho portato la giustificazione dei genitori.
Osservoda qualche fermata almeno quattro dormienti. Tranne uno, sono tutti sui sedili d'angolo, coi gomiti sul corrimano. Uno, due ora hanno aperto gli occhi. Cadorna sarà, deduco, la loro fermata.
Da seduto, riesco a vederne solo uno. Scarpe da tennis, jeans, polo grigia, borsello. Viso paffuto, occhiali senza montatura, qualche capello grigio. Le braccia incrociate sul petto si alzano e abbassano con regolarità al ritmo del respiro.
Credo dorma in maniera abbastanza decisa. Profondo non é un aggettivo per il sonno del pendolare.
Non é comunque lo stato di sonno o veglia a fare la differenza. Basta chiudere gli occhi.
Ha l'aria salva, il mio compagno di viaggio dal mento sfuggente. Finché terrà gli occhi chiusi non sarà qui. Non in metropolitana, non a Milano. Non avrà un lavoro alla fine della corsa, non una casa o una famiglia al capo opposto.
È fuori, in pausa, altrove. I pensieri e le preoccupazioni, per raggiungerlo, devono indossare i panni degli attori, diventare simboli, perdendo così gli spigoli, i bordi taglienti, le spine, le lame.
Dorme, ed è intatto. Qui, nelle vene sotterranee della città, nella posta pneumatica che ci consegna ai nostri datori di lavoro, ha evitato lo status di risorsa, di globulo rosso carico di forza lavoro, fino all'ultimo. Le porte del treno erano aperte da un paio di secondi, a Famagosta, quando ha chiuso la bocca, aperto gli occhi ed é uscito.
Con le metro note ho rinunciato a questa opzione, ne sono anzi diventato l'opposto. Non mi faccio più semplicemente trasportare, ho gli occhi aperti il doppio.
Anche quando non scrivo. Sono sveglio per i vigili, per i dormienti, per chi é altrove, per chi non pensa.
La scala mobile é fuori servizio, l'aria di Assago fresca. Iniziamo.

venerdì 14 settembre 2012

PROSPETTIVE

8.34 fermata Gioia. E dire che stamattina volevo dormire in metropolitana.
All'incrocio di Ampere e Vallazze, fermi al semaforo assieme a me, c'erano un padre e due bambini tra i cinque e gli otto anni. In bicicletta. Lui alto, con un completo grigio chiaro e scarpe nere di cuoio,dei bambini ricordo solo i caschi rossi.
Hanno fatto un pezzo di Ampere piuttosto lungo insieme a me, perché il piccolo ogni poche pedalate era fermo. Ci saremo superati a vicenda almeno quattro volte.
In quel tratto di strada condiviso ho conosciuto la stanchezza del giovane papà ciclista, oltre che la sua voce incredibilmente acuta e femminile, ma già dal semaforo mi sono sintonizzato sulla sua vita.
Mi sono chiesto non se lo farei, sia in termini di tempo sia di sicurezza; piuttosto, mi sono domandato se potrei accettare che i miei figli, se vorranno andare a scuola in bicicletta,
debbano attraversare strade e semafori, respirando scarichi di auto, vedendo solo il grigio dell'asfalto, accompagnati da un padre che spera nella pioggia per potersi evitare la perdita di tempo e lo stress.
Sono già fuori terra, verso Assago, ma il mio pensiero é appena agli esordi. Non basteràl'extra time della scala mobile, non può bastare nemmeno l'ascensore.
Risponderò un'altra volta alle domande che mi sta facendo il me futuro padre.

giovedì 13 settembre 2012

STAGIONI

8.29, Stazione Centrale.
Mi rassegnerò a riportare la sveglia agli orari di prima dell'estate. In fondo oggi non é nemmeno il decimo giorno di lavoro da che sono rientrato. Molto meno del decimo giorno definibile di lavoro senza provare almeno un po' di vergogna o di senso di colpa. Insomma, sono un diesel, tempo di scaldare il motore e smetto di mettere in discussione le regole per iniziare a seguirle.
Garibaldi, ho appena deciso di smettere un'altra cosa: stare in piedi senza appoggiarmi. Sì, fico usare il piede marino, che tra parentesi non ho, ma mi fanno male le gambe e in particolare stamattina i risultati sono piuttosto deludenti.
Stamattina la meteosfera segnalava meno di diciassette gradi all'esterno. Sei mal contati meno di ieri. Golfino, allora. Tolto di fretta al primo contatto con la galleria della metropolitana, ma intanto un passo significativo verso la normalizzazione.
Cadorna, basta piede marino e schiena cittadina, ho finalmente il mio sedile. Se Atm vigilasse meglio i suoi depositi potrei anche avere una buona posizione per cercare Bowie, che non vedo da oltre un mese, ma l'artista di turno aveva bisogno di più spazio creativo di quanto ne garantisse la sola fiancata del treno.
Porta Genova, ritmi blandi di periferia.
Tornare alla normalità, allontanare i pensieri consueti di fine estate, archiviare i ricordi e le domande. Certo che esiste un altro modo. Ne esistono a centinaia. Gran parte dei quali fondati su un tenore di vita in confronto al quale il pendolarismo è una vita agiata.
Lo so che denaro ed agi sono proprio ciò che metto in discussione. No, non é colpa di Into the wild. Anzi, riguardandolo ha perso non pochi punti.
Curva del treno, regalo di montagne all'orizzonte, per compensarmi del finestrino cieco.
Solo questione di tempo.

lunedì 10 settembre 2012

RIPROVIAMO

7.48 ho appena passato Centrale. Per l'esattezza sono già a Gioia.
Ho fatto cose, scritto a gente. Ho un fratello oltreoceano che pare non riesca a trovare un alloggio a prezzi umani. Con 12 mesi a stelle e strisce davanti, non é poca cosa.
Garibaldi, sale un frate, mentre una voce di servizio chiede lumi circa un allarme attivato, non ho ben capito dove.
Stamattina sono indolente, mi distraggo, sbircio i free press dei miei compagni di viaggio. Sbircio le loro vite, ma quello lo faccio sempre.
Cadorna, cambio della guardia.
Vite per vite, vestiti, scarpe, occhiaie, make up che raffazzonano età, polo da supermercato, anello vistosi, occhiali fuori moda, borsette e borse frigo per pasti consumati alla scrivania.
A volte passano troppo in fretta per essere più di una sensazione di colore, o un dettaglio poco significativo.
A volte sono invece talmente vivi e vive da rimpiangere di non conoscerli, parlare loro, scoprire le vite che fanno con me un tratto di strada.
Ieri sera, andando a messa con Paola, ho visto Hakim, il pizzaiolo che abbiamo sotto casa. Era in piedi, illuminato dal sole del tramonto, davanti all'ingresso della sua pizzeria. L'ho visto dal lato opposto della strada, e solo dopo aver distolto lo sguardo una prima volta ho deciso di guardarlo di nuovo ed alzare un braccio di saluto. Con un accenno di sorriso, ha risposto con un identico braccio alzato.
I marciapiedi opposti di via Vallazze, come i sedili opposti della metropolitana o gli opposti capi dell'Atlantico. Distanze insormontabili quando non si decide di alzare un braccio. Di non salutare un collega seduto, a volte, di fianco a te. Di non scrivere ad un amico, o un fratello, spedito dalla vita ad un imprecisato numero di fusi orari di distanza.

giovedì 6 settembre 2012

ORIGINI

8.39 giovedì mercato. Lunedì coma, mercoledì basket. E via dicendo. Ricostruire routines aiuta. Spedisce i ricordi in un passato mitico più in fretta. I giorni intruppati fanno sfollare quelli liberi.
Oggi mercato, coi funghi e i fichi e l'uva. Come le vetrine dei negozi, cambio di stagione.
Una vocina infantile esclama "su in marcia!" alle mie spalle, comparendo poco dopo nel mio campo visivo per mano a sua mamma. La vocina in infradito, la mamma con una scarpa aperta un po' più elaborata. Non proprio calzature da marcia, a voler fare i puntigliosi.
In marcia. Fin da bambini. Il movimento in città é marziale. Eliminando il disturbo che la natura reca agli occhi, costringendo il passo a rallentare, sostare davanti a colori e forme ignote, si marcia più facilmente.
Garibaldi, oggi finalmente all'altezza della sua fama. Gente profumata e variopinta, che annuso dal mio comodo sedile.
Marciapiedi, corsie di marcia. Lisci e compatti, per non inciampare, dicono. Pe non dare appigli. Il sentiero é nemico del progresso. Distoglie la mente dagli obiettivi di lungo termine per concentrarla su passaggi impervi. Per convincerla che al prossimo scollinamento si sarà in vista di qualcosa. Per far andare avanti il piede stanco ancora un po'.
Cadorna, decompressione.
Sui marciapiedi si guadagna tempo, ci si può portare avanti col lavoro. Telefonare, addirittura leggere. Uno spreco di tempo, pensare a camminare: come se dovessimo pensare a respirare, o a far battere il cuore.
Stamattina, sul marciapiede di via Ampere, in mezzo alle bancarelle quasi pronte, devo aver sbagliato qualcosa: non mi sono portato avanti, ma indietro.
Una costruzione intonacata di ocra, poco più che un box, con i piedi abbelliti di fiori gialli. Appoggiato ad una parete, stanco di calura, un pergolato di vite, nella cui ombra maculata, sulla terra polverosa, una manciata di cassette custodiva fichi, meloni e qualche mazzetto di origano fresco. Nella parte più fresca e fitta dell'ombra, una giovane coppia, vestita semplicemente, ed un cane addormentato. Davanti, una bilancia ed una cassetta di legno per i soldi. Alle loro spalle, una distesa di alberi da frutta e file di ortaggi abbagliati dal sole.
Quello che non c'era nella sparuta bancarella, lo andava a prendere lui direttamente dal campo. Se lo accompagnavi a scegliere, lungo la strada ti parlava di acqua e stagioni. Né tu, né lui marciavate.

mercoledì 5 settembre 2012

TRANSUMANZA

8.21 settembre, andiamo.
Era fine luglio, l'ultima volta. Era una vita fa, o almeno una stagione.
Torno in punta di piedi, con un po' di soggezione, alle metro note. Negli ultimi due giorni ho anche pensato a cosa scrivere; il taglio era tutt'altro, perché c'era un pubblico preoccupato ad aspettarmi. Poco prima di prendere in mano il taccuino in specie di blackberry ho realizzato che l'unica persona che aspettava era il sottoscritto.
Aspettavo di interrompere il silenzio. Non di capire se il progetto fosse già morto. Forse un pubblico in attesa c'era, un me che guardava con occhi terzi la pagina web non più aggiornata e se la immaginava abbandonata negli anni, come un relitto spaziale da film di fantascienza.
Sono tornato, al lavoro, all'uso della metropolitana e al blog.
Cadorna; ha ancora qualcosa di estivo, ma solo nel numero ridotto di persone che sono entrate. La pioggia di questi giorni, il colore grigio del cielo e il freddo hanno già messo in chiaro le cose. Per domani è previsto un altro anticiclone, e gli esperti sono febbrilmente impegnati a scartabellare il libro di epica dei propri figli per trovargli un nome. Fa poca differenza che arrivi e che nome abbia. Ultimo, potrebbero chiamarlo, ma é il classico nome che scatenerebbe Murphy portandoci in bermuda a Natale.
Romolo. La fermata, non l'anticiclone. Il treno é quasi vuoto. La crisi, le vacanze a settembre. I figli ritirati da scuola e mandati a lavorare. All'America, o nella Ruhr.
Il cielo fuori Famagosta é una lastra grigia, degno soffitto del girone parainfernale che ci ostiniamo a chiamare business park.
Dedico l'ultimo minuto del viaggio a mio fratello, che proprio stamattina bucherà questo cielo di metallo per mettere prua verso Boston. All'America, lui che è medico. Gli altri, a lavorare per Anghela nella Ruhr.
Buon viaggio Lalo.